Il giudice che ha indagato sulla Banda della Magliana: «Emanuela Orlandi? Bisogna capire le frasi su Wojtyla»

Il magistrato Otello Lupacchini dell’Operazione Colosseo: «Neroni è un souffleur. Sì alla commissione d’inchiesta»

L’ex magistrato Otello Lupacchini è noto per l’Operazione Colosseo. Nel 1993 una retata di arresti portò in galera molti membri della Banda della Magliana. Nell’ordinanza si nominava anche Marcello Neroni, l’uomo dell’audio su Karol Wojtyla. Ma ha lavorato a inchieste come l’omicidio del giudice Mario Amato e quello di Roberto Calvi. Il Quotidiano Nazionale fa sapere che Neroni sarebbe stato sentito anche da Alessandro Diddi nell’ambito dell’inchiesta del Vaticano sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. E il giusfilosofo nell’intervista con Nina Fabrizio dice che non ha mai trovato un vero collegamento tra i membri della Bandaccia e la “Vatican Girl”. Ma aggiunge che la strada della Commissione parlamentare d’inchiesta è l’unica per venire a capo dell’enigma.


Chi era Marcello Neroni: un souffleur

Lupacchini spiega che Neroni nell’audio probabilmente sapeva di essere intercettato. La registrazione risale al 2009, ovvero quando la “pentita” Sabrina Minardi aveva già parlato del presunto coinvolgimento di Enrico De’ Pedis detto Renatino nella vicenda. «In maniera molto chiara io avevo scritto nella ordinanza di rinvio a giudizio che era un ‘souffleur’, una spia che giocava su più tavoli vicino a certi personaggi eminenti della polizia e dei servizi di cui si faceva scudo anche nel processo. Una indagine che voglia essere seria e puntuale dovrebbe stabilire ora per allora perché in quel momento, con quell’incontro e con quelle modalità, Neroni fa quelle dichiarazioni» su Giovanni Paolo II, sostiene Lupacchini. Che ha interrogato all’epoca tutti quelli che volevano accreditarsi come collaboratori di giustizia nell’indagine. Nessuno di loro ha mai nominato all’epoca la vicenda Orlandi.


Guerra per bande

Lupacchini racconta che «uscì fuori tutta una serie di dichiarazioni su Pecorelli, o Andreotti o Vitalone, o sui movimenti eversivi ma nessuno ha mai adombrato alla vicenda di Emanuela Orlandi». Anche se c’è una specie di eccezione: «Abbatino nel delineare le ragioni dello scontro insanabile tra l’ala ortodossa e quella testaccina indica due fatti, l’attentato a Rosone e l’omicidio Balducci dicendo che in questo modo i testaccini avevano operato per conto di Cosa nostra rompendo le regole che nascevano dal patto di collaborazione del cartello. Ma nessuno ha accennato alla vicenda di Emanuela Orlandi come motivo di conflitto, se così fosse stato, la partecipazione sarebbe stata una vicenda dirompente al pari dell’attentato a Rosone».

I testaccini

Lo stesso Lupacchini lascia una porta aperta: «A questo punto non posso affermare che l’ala testaccina o lo stesso De Pedis che tra l’altro agiva d’autonomia abbiano preso parte in qualche modo al sequestro ma il campo della possibilità è poco più avanzato di quello dell’ignoranza». Per il giudice «la stessa Minardi racconta una vicenda che solo chi crede nell’esoterismo può prendere per buona quando dice di essere stata informata da De Pedis che le avrebbe fatto vedere due sacchi di immondizia con in uno Emanuela Orlandi e nell’altro il piccolo Domenico Nicitra. Peccato che la Orlandi scompare nell’83 e Nicitra nel 1993, mentre De Pedis era deceduto nel 1990».

La commissione di inchiesta

Ma Lupacchini lascia una speranza viva: «Di fronte a una Commissione parlamentare di inchiesta, molti interrogativi che non è possibile sciogliere in chiave giudiziaria potrebbero essere risolti, il giudice è uno storico dalle mani legate, e il fatto che la commissione abbia gli stessi strumenti non può portare ad equipararla all’autorità giudiziaria. Inoltre non vedo né rischi di sovrapposizioni né di inquinamenti ma semplicemente, semmai la messa in evidenza di elementi di contraddizione. La commissione di inchiesta non può condizionare in negativo l’accertamento giudiziale, a meno che questo non abbia già una tesi preconfezionata».

Leggi anche: