I tre colpi, l’aorta, il volto di Tiziana. Vittorio Emanuele Parsi racconta la sua esperienza premorte: «Ero nell’Ade»

Il professore racconta come è finito in terapia intensiva e in coma. E come ne è uscito

Vittorio Emanuele Parsi ha accusato un malore mentre parlava sul palco a Cortina il 27 dicembre scorso. Operato al cuore, è finito in terapia intensiva. A metà gennaio ha fatto sapere lui stesso che stava meglio. Successivamente ha proseguito nella riabilitazione. E oggi con il Corriere della Sera riepiloga le fasi del suo malore, dicendo che si ritiene un sopravvissuto e di essere vivo «grazie al volto di Tiziana» Panella, giornalista di La7 che conduce Tagadà e sua compagna da due anni. «Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea. Da sommozzatore sai che quando li senti devi riemergere, è l’ultimo avvertimento. Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico. È arrivata l’ambulanza, siamo andati all’ospedale “Codivilla”».


L’infarto e la dissezione dell’aorta

Sulle prime si pensa a un infarto. Ma i primi esami sono negativi. Il professore di relazioni internazionali all’università Cattolica di Milano a quel punto pensa che sia tutto a posto. Ma invece finisce a Belluno in ambulanza. Qui il primario di cardiologia Alessandro Di Leo gli spiega che la situazione è invece gravissima: «La mia era una dissezione dell’aorta. Lui mi ha detto due cose che ricorderò sempre. La prima: dobbiamo farle un’operazione salvavita. La seconda: può andare male». A quel punto lui chiama la figlia maggiore e «Tiziana», con la quale ha un rapporto da due anni. «Mi hanno portato con l’elicottero a Treviso, dove ho trovato chirurghi di eccellenza, come Francesco Battaglia, Antonio Pantaleo e Giuseppe Minniti». Rimane a rischio vita per giorni: «Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane».


Il volto di Tiziana

Parsi dice che non sentiva dolore ma una spossatezza fisica. Che ha pensato più volte di morire. E che alla fine ha pensato alle sue figlie e a Tiziana: «Ho visto il suo volto, potevo rivederlo. Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: “Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi”. È stato allora che ho materializzato nella mente quegli omini di gomma che vendevano nei ruggenti anni’70 e ’80, che si lanciavano sul vetro e si appiccicavano e salivano e scendevano… Ecco, ho visto me stesso un po’ come uno di quegli omini, a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me». Parsi ha pianto per quella che definisce un’esperienza premorte: «Penso fosse l’Ade, il fiume delle anime morte».

L’esperienza premorte

«Non ho visto nessuna luce, nessuna speranza che non fosse quella di lottare per vivere. Forse quando si muore la sensazione è quella di un abbraccio. La morte la viviamo come spaventosa, io non ne ho mai avuto grande simpatia, non nutro aspettative su quello che verrà dopo.Però la cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura». Il risveglio, dice, è stato «terribile. Sentivo i medici che dicevano: “Lo estubiamo domani, lo estubiamo oggi…”. Avrei voluto che lo facessero subito. Ho cercato di strapparmi tutto, hanno dovuto legarmi al letto. Nelle ore finali, intubato, guardavo l’orologio, vedevo passare i quarti d’ora uno per uno. Uno strazio. Quando mi hanno tolto i tubi è stato come rinascere. Avevo una sete tremenda: gli addetti della rianimazione usavano un bellissimo lavabo d’acciaio con una profusione d’acqua e mi dicevo: tra poco mi attacco sotto alla manichetta, mi dovranno portare via. Invece mi strozzavo anche solo con un cucchiaino».

Tiziana Panella alias cerottino

Parlando della compagna, Parsi dice che «lei ha un soprannome che le ho dato, che dipende da vicende non fortunate che l’hanno riguardata. È “cerottino”. Ero convinto di essere io quello forte. E invece devo dire che la sua forza è emersa a darmi una grande serenità». Poi si dice stupito della solidarietà di tanti che ha ringraziato. E dice che adesso la sua vita cambierà: Vuole «partecipare al dibattito pubblico. Ci sono delle battaglie in cui credo. Oggi viviamo una sindrome da anni ’30. Di fronte a un nemico alle porte che è già in guerra con noi e la prospettiva che torni Trump, isolazionista e gaglioffo, non sembriamo in grado di trarre le logiche conseguenze. Ovvero che abbiamo dieci mesi di tempo per metterci in condizione di esercitare se necessario da soli la deterrenza verso Putin, che ha mostrato una spietatezza e una crudeltà senza fine. Per altro, vai a dire a uno che vive sotto il suo tallone che l’Italia è una colonia americana; dillo a un ucraino, ti dirà che cos’è una colonia russa. Non posso astenermi».

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