Scuola primaria, si torna ai giudizi sintetici. Dai dubbi pedagogici al cambio (troppo) repentino: la riforma che preoccupa gli esperti

Mentre il governo lavora per dire addio ai giudizi descrittivi, così le associazioni criticano la decisione e chiedono riforme più ragionate

Si riaccendono i riflettori sulle pagelle delle scuole primarie: come devono essere valutati i bambini? Cambia colore politico, cambia la modalità: così è, da anni ormai. Una linea chiara e definitiva ancora non c’è e così il governo Meloni ora dice la sua: addio ai giudizi descrittivi, si ritorna a quelli sintetici. La prossima settimana arriverà un emendamento del governo – inserito nel disegno di legge sulla revisione del voto in condotta – sul tavolo della Commissione Istruzione del Senato. Il sistema attuale prevede quattro livelli di giudizi descrittivi: avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione. Definizioni, a detta del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, del tutto «incomprensibili» che necessitano di essere sostituite con «valutazioni più chiare e semplici». Da qui la volontà di tornare ai classici giudizi insufficiente, sufficiente, discreto, buono, distinto e ottimo. O meglio, questa è la mediazione raggiunta. Ma se, da un lato, soddisfa la politica, dall’altro lascia perplessi pedagogisti ed esperti del settore e confusi gli insegnanti.


Voti o giudizi?

Il provvedimento del governo va oltre il semplice voto in pagella: interviene sull’approccio pedagogico adottato dalle scuole da tre anni a questa parte e sul ruolo dei docenti nell’ambito della formazione. Ciononostante, il panorama educativo italiano sembra cambiare continuamente forma. E, a dire il vero, con poca fantasia. Fino a poco più di 15 anni fa, l’uso del voto numerico rappresentava la norma all’interno del sistema scolastico. Tuttavia, nel 2020, l’allora ministra dell’Istruzione pentastellata, Lucia Azzolina, abolì i numeri a favore dei giudizi descrittivi, considerati più accurati e in grado di fornire un quadro più esaustivo sulle abilità e competenze degli alunni. Ora, fosse stato per la sottosegretaria all’Istruzione e al Merito, Paola Frassinetti (Fratelli d’Italia), si sarebbe dovuti tornare ai voti da 0 a 10. Ma la mediazione politica ha portato la maggioranza a virare sui giudizi sintetici. Così, le lancette della storia scolastica italiana sembrano tornare ancora più indietro.


Il dibattito

La questione è divisiva. Se per il governo è giunta l’ora di reintrodurre un sistema di valutazione «più chiaro e comprensibile», il clima che si respira nel settore è di scoramento. Oltre al modello di voto in sé, preoccupa anche il repentino cambiamento, ritenuto inadatto ai tempi necessari per una scelta di questo calibro. Lo scorso mese, le associazioni e i sindacati della scuola – tra cui l’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici, il Coordinamento Genitori Democratici, l’Associazione italiana maestri cattolici, e la Flc Cgil – hanno firmato un documento manifestando preoccupazione per un possibile ritorno al voto numerico. Con il recente ritorno del dibattito, orientato questa volta sui giudizi sintetici, è stato rilanciato con nuove perplessità. «L’emendamento del governo propone di smantellare una riforma appena avviata e senza che ne sia stata in alcun modo verificata l’efficacia», denunciano.

«Basta politiche prive di visione pedagogica»

«In assenza di una documentazione sui processi in atto, di una verifica sulle esperienze condotte nelle scuole, di un’interlocuzione con il mondo della scuola e della ricerca universitaria questo governo decide di interrompere un processo di rinnovamento della cultura e delle pratiche valutative», proseguono le associazioni. Tacciano, pertanto, la decisione del governo come «immotivata dal punto di vista pedagogico» e in grado di «affaticare ulteriormente chi ha già speso molte energie umane e risorse finanziarie per affrontare in modo costruttivo il cambiamento introdotto appena tre anni fa». Per questo fanno appello alla politica, affinché si approdi a riforme maggiormente ponderate che non investano la scuola con «politiche frammentarie, contraddittorie, prive di una visione pedagogica coerente e duratura». Per il momento, però, tutto resta in bilico in attesa che il Ddl diventi (o non diventi) legge.

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