La rivoluzione gentile: da capo assoluto a leader del gruppo. Lezione di management nella Roma passata da Mou a De Rossi

Il miglioramento delle prestazioni dei singoli dopo l’avvicendamento sulla panchina dei giallorossi ci ricorda che oggi chi vuole essere un leader di successo, nello sport e sul lavoro, non può limitarsi a dare ordini

Il cambio di marcia impresso alla Roma dal nuovo allenatore Daniele De Rossi è materia che lasciamo volentieri agi esperti di calcio. C’è una questione, tuttavia, molto interessante in questo cambio in panchina, che va oltre la mera competenza calcistica: l’impatto che ha avuto sulla squadra il nuovo stile di leadership impresso dal giovane ed esordiente allenatore. Josè Mourinho, uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio, ha costruito parte delle sue fortune – oltre che sulla grande capacità di costruire e gestire la tattica calcistica – anche per uno stile di gestione delle sue squadre molto particolare. Il portoghese era un leader che, in maniera scientifica e programmatica, cercava costantemente di catalizzare su sé stesso tutte le attenzioni, negative o positive che fossero. Polemiche con gli arbitri, guerre dialettiche con gli avversari, richieste di mercato alla propria società: con uno stile muscolare e quasi oltraggioso, in ciascuno di questi campi lo stratega portoghese apriva ogni giorno delle battaglie all’arma bianca contro i malcapitati interlocutori di turno. Queste battaglie non risparmiavano nemmeno i suoi calciatori: salvo rare eccezioni, venivano additati come giocatori scarsi, inadeguati o, al massimo, inadeguati per motivi fisici. Scelta probabilmente dettata da motivi tattici (l’ex portiere del Chelsea Peter Cech ha raccontato che nello spogliatoio il mister preannunciava alcune dichiarazioni ai suoi giocatori, avvertendoli del fatto che erano meramente tattiche e non rispondevano al suo pensiero). Scelta che, nell’immediato, ha dato risultati positivi.


Leadership a confronto

Mourinho ha, infatti, creato alla Roma un gruppo compatto, molto solido e capace di conquistare risultati importanti in Europa, dove il temperamento ha un peso maggiore per decidere partite all’ultimo respiro. Questa scelta di mettere al centro del mondo la propria persona, anche a costo di svalutare l’apporto della squadra, ha generato, tuttavia, uno stress eccessivo al gruppo: la forte pressione e le critiche costanti hanno ridotto l’autostima dei calciatori e, forse, anche la loro capacità di buttare il cuore oltre l’ostacolo, con la conseguenza che le prestazioni in campo ne hanno risentito pesantemente. Con l’avvento di Daniele De Rossi sulla panchina della Roma, non c’è stato solo un cambio tattico: è entrato in campo uno stile di leadership e comunicazione diametralmente opposto. Sono finite le polemiche con gli arbitri, per togliere un potente alibi per i calciatori, che non hanno potuto più usare l’argomento più in voga tra tutti i perdenti del mondo: «Abbiamo perso per colpa dell’arbitro». Il nuovo mister non si è fermato a questa scelta ragionevole.


Mentre il suo predecessore impiegava gran parte delle sue conferenze stampa a raccontare quanto fossero scarsi i suoi calciatori (per sottolineare i miracolosi risultati che stava ottenendo), De Rossi ha scelto una direzione opposta. In ogni conferenza stampa ricorda il curriculum dei suoi atleti, magnifica le loro capacità di stare in campo ed esalta il valore complessivo della rosa, arrivando a esaltare calciatori che, fino a qualche settimana fa, erano pubblicamente additati come simbolo dell’incapacità di giocare a calcio – il caso di Celik, il terzino turco, è clamoroso. Per completare l’opera, De Rossi è sempre attento a dividere le responsabilità per gli errori – se li accolla lui, senza sconti- con i meriti delle vittorie, che attribuisce sempre ai propri calciatori. Anche questa è una scelta opposta al suo predecessore, che era sempre attento a scaricare pubblicamente le colpe delle sconfitte sui calciatori: ricordiamo tutti l’epurazione di 6 calciatori dopo la sconfitta con i dilettanti norvegesi del Bodo o quella del terzino Karsdorp dopo un brutto pareggio a Sassuolo.

La gestione dei gruppi di lavoro

Questo cambiamento di gestione è interessante non solo dal punto di vista strettamente sportivo. I gruppi di lavoro, che si tratti dello sport professionistico o della vita aziendale, sono difficili da gestire, coordinare e motivare. Nel modello sociale in cui sono cresciute le generazioni del dopoguerra, il comando, sui luoghi di lavoro, era un potere da esercitare con modi autoritari. Bisognava dirigere le persone, senza preoccuparsi di convincerle. Il clamoroso impatto di Daniele De Rossi sulla panchina della Roma avrà ragioni tecniche ma, a nostro avviso, dipende anche dal fatto che il giovane allenatore ha capito che quello stile di gestione non è più adatto all’attuale contesto lavorativo. Chi vuole essere un leader di successo, oggi, nello sport e nella vita, non può limitarsi a dare ordini. Le persone devono essere convinte, motivate e responsabilizzate: risultati che si possono ottenere solo usando leve diverse dalla semplice autorità.

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