Evasione fiscale e influencer, Gianluca Vacchi rompe il silenzio: «Io, vittima di un grande equivoco»

L’imprenditore finito nel mirino delle Fiamme Gialle: «Ho ricevuto una contestazione che ha portato al pagamento di 6mila euro»

L’influencer e imprenditore Gianluca Vacchi è finito, assieme ad altri nomi noti dei social, nel mirino della Guardia di Finanza di Bologna. Le fiamme gialle hanno scoperto un’evasione fiscale complessiva di 11 milioni di euro da parte di nove content creator, che non avrebbero denunciato al fisco i proventi delle loro attività sui social e su piattaforme. Ma secondo Vacchi, seguito da più di 22 milioni di persone su Instagram, non si tratta che di «un grande equivoco». Lo afferma nel corso di un’intervista al Giornale, che dichiara di aver rilasciato per il bene di sua figlia.


I sette milioni

In essa spiega i dettagli dell’accaduto: «Si parla di evasione legata alla mia attività di influencer, facendo intendere un occultamento di redditi pari a sette milioni di euro. Io dalla Guardia di Finanza ho ricevuto una contestazione che ha portato al pagamento da parte mia di seimila euro. Sa perché? Perché mi hanno spiegato che non erano deducibili i costi legati ai viaggi in aereo». I sette milioni, prosegue, «riguardano il periodo fra il 2017 e il 2019»: «L’oggetto della contestazione erano dei finanziamenti, fatti alla luce del sole, dalla mia holding verso me stesso che per la Guardia di Finanza erano assimilabili a dei dividendi. Io, per amor di pace, ho convenuto con loro e ho pagato come se fossero dei dividendi. Ecco la storia dei sette milioni. Questa non si chiama evasione». Semmai, a suo dire, è una «differente opinione sulla contabilizzazione fiscale di determinate voci». 


Professione influencer

Vacchi spiega anche che quello dell’influencer più che un lavoro è un hobby: «In tutta la mia attività di influencer, circa dieci anni, le operazioni che hanno fruttato guadagno si contano sulle dita in una mano: ho fatto uno spot per la Seven Up, uno spot per la Banca Nazionale di Georgia, uno spot per un caffè molto importante in Russia. Fatti per curiosità e divertimento. Non ho mai visto le piattaforme social come veicolo di guadagno. Io guadagno con il mio lavoro, che è altro». Nonostante si smarchi dalla categoria degli influencer, difende il loro diritto a guadagnare bene, seppure sia «probabilmente diseducativo»: «La facilità dei guadagni è un grande equivoco. Molti pensano che guadagni molto per una foto che ti porta via trenta secondi del tuo tempo, ma non è così, perché in realtà tu non stai pagando quei trenta secondi. Tu stai pagando i dieci anni che io ci ho messo a diventare un influencer».

«In Italia mi guardano male»

Chi ce l’ha con gli influencer, dal punto di vista di Vacchi, sta semplicemente facendo i conti con «l’astio», perché sarebbero «lo specchio dell’insuccesso di quelli che avrebbero voluto farlo ma non ce l’hanno fatta». Per esempio lui si è rimboccato le maniche qualche anno fa e si è «creato una vita virtuale». E chi la collega semplicemente ai balletti di pochi secondi che lo hanno portato alla ribalta, è «superficiale». Si tratterebbe di «marketing, prodotto civetta»: «La sostanza del messaggio è: Vivi come ti pare, perché la vita è tua. Io dico: la vita noi l’abbiamo ricevuta in prestito. È certa la data del prestito, non è certa la data della restituzione».

La necessità di redistribuire

Anche i suoi video di ostentazione della ricchezza nasconderebbero un insegnamento: «C’è chi li prende come una cosa eccessiva, ma anche chi li prende come un incoraggiamento e dice: voglio farcela anch’io». D’altronde, racconta, «sente eccome» la responsabilità morale di influenzare positivamente i suoi moltissimi followers. E a sorpresa dichiara che «si sta allargando troppo la forbice tra chi è povero e chi è ricchissimo». Sebbene ribadisca la sua lontananza dalla politica, infatti, ritiene che una delle istanze più urgenti al momento sia quella di «chiudere un pochino questa forbice, facendo prendere l’ascensore sociale ai più poveri».

Scontri culturali

Sempre a suo dire, l’invidia sarebbe un fenomeno tutto italiano: «Il confine fra l’invidia, l’emulazione e l’identificazione è sottilissimo. Qui c’è da fare una distinzione fra l’Italia e l’America, dove vivo metà dell’anno. In America se vedono un ricco che ce l’ha fatta lo guardano con ammirazione, in Italia con astio. Pur di attaccarti tirano fuori una non notizia legata ad una vicenda chiusa da anni». Come quella dei sette milioni: «La vicenda fiscale che esula dalla mia attività di influencer è stata chiusa quattro anni fa». Adesso, la sua attività principale consiste nel cercare di «capire come investire al meglio il patrimonio ricavato dalla vendita delle quote dell’azienda di famiglia» di cui era azionista.

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