Il ritorno (intimo) di Cosmo: «Le persone non mi capiscono. Sanremo? Ha prodotto un nuovo status quo» – L’intervista

L’artista racconta a Open il suo nuovo disco, il rapporto con la musica e perché quest’anno Sanremo è stato noioso

Si chiama Marco Jacopo Bianchi, è nato ad Ivrea nel 1982, ma tutti lo conoscono come Cosmo. Letteralmente tutti, perchè Cosmo con la sua musica negli ultimi vent’anni, dai tempi dei Drink To Me, band cult del circuito indie torinese, in particolare negli ultimi dieci come solista, ha messo d’accordo mondi che sembrano distanti anni luce. Nel 2013 con Disordine, suo esordio, fa capire qual è il suo intento artistico: la folle idea di rimodulare in chiave tech il cantautorato classico. Un talento che gli vale una candidatura per la Targa Tenco come migliore opera prima. Nel 2016 cade a pennello nella rivoluzione indie italiana e la sua visione musicale viene accolta a braccia aperte all’uscita de L’ultima festa, disco che prende il nome da un singolo che si rivelerà essere una delle sue più importanti hit e che contiene anche Le voci, altro cavallo di battaglia della sua produzione. Ma probabilmente è in Cosmotronic (2017) che Cosmo raggiunge la perfezione in termini di sviluppo della propria personalità artistica: è qui che la scrittura e il clubbing, inteso come sound ma anche come disciplina ai confini del filosofico, si mescolano e in qualche modo, tra le sue mani, si completano. Nell’album infatti troviamo delle perle come Turbo, Sei la mia città, L’amore e Quando ho incontrato te. La terza estate dell’amore è uno sfogo tecnologico di rara fattura, post lockdown Cosmo con la sua musica vuole riunire le persone, rimetterle insieme come pezzi di un puzzle, con brani dal forte impatto sonoro come La musica illegale, Vele al vento e Mango. Sulle ali del cavallo bianco è il suo quinto album e le esigenze sono nuovamente cambiate, Cosmo, accompagnato dal producer Not Waving, vira sensibilmente verso il pop, verso una struttura canzone più classica, più in linea con la nostra tradizione, pur mantenendo, è chiaro, un approccio extrasperimentale, una visione fascinosa e distorta, come in Troppo forte, ma lasciandosi andare anche a suggestive pennellate di romanticismo come in L’abbraccio, Momenti e Il messaggio. Una tavolozza di colori potenzialmente infinita la sua, forse per questo è – e forse per sempre resterà – un outsider della musica, tant’è che, come ammette a Open, sente che «una buona fetta di questo Paese proprio non capisce quello che faccio, non gli arriva, lo ignora» e che «a livello mediatico non riesco ad occupare, come altri artisti, gli spazi. Anche a livello di numeri non faccio le performance della vita». Cosmo forse mainstream non lo sarà mai, ma la qualità dei suoi live resta tra le più acclamate della musica italiana dell’ultima decade, lo dimostra un calendario di live pieno di sold out. Il suo tour partirà da Firenze il 30 marzo, per poi proseguire a Torino, Napoli, doppia data a Bologna, doppietta anche a Milano, Padova, Roma e Molfetta, per poi concludersi a Cesena.



Come si colloca questo disco nella tuo percorso musicale?

«Ho liberato delle energie latenti in maniera veramente spontanea. Il percorso che ho fatto fino a qui si è mosso nel mondo del clubbing, poi ho sentito l’esigenza di una roba più romantica: di giri armonici più complessi, che prevedessero più di uno o due accordi come ero arrivato a fare. Ho fatto esplodere tanta energia. E poi è il primo disco che non faccio da solo. L’ho fatto con Alessio Natalizia, nome d’arte Not Waving, un matto che ha un approccio unico. Siamo amici di vecchia data, mi ha veramente dato un forte stimolo, abbiamo lavorato con una sinergia incredibile. Un disco che sento molto dentro, di cui sono molto orgoglioso. Abbiamo voluto mettere più italianità, flirtare di più con la canzone classica, pur osando con la produzione, trovando soluzioni diverse dalla media italiana, soprattutto attuale. Credo sia un disco maturo ma anche molto giocoso, molto infantile per certi versi, molto più intimo nelle tematiche. Avevo bisogno di parlare della mia piccola vita, piuttosto che di grandi temi politici»

È anche un disco pieno di amore…

«È stato un anno pieno d’amore e di psichedelia. Un anno di riscoperte, di dubbi, di dolore anche…E ho voluto anche dire delle cose a una persona specifica con delle canzoni. Però cerco sempre di farlo in maniera tale che anche tu, che non sei in questa storia, possa sentirla tua. Si cerca sempre di fare qualcosa che sia fuori dal tempo e anche fuori da te»

Hai avuto paura di mettere alla prova il tuo pubblico con un disco dalla matrice fortemente cantautorale?

«Paura no. Io e Alessio ridevamo, ci dicevamo: “Pensa quando sentiranno questa, che ridere!”…A me piace, è una cosa che mi galvanizza. Volevo raccontare una storia, e anche se non è il modo più catchy di farlo, sono convinto del valore del disco. Penso che galleggerà e volerà ancora. La terza estate dell’amore era stato fatto in pandemia e volevo fare una roba clubbing politicizzata. A sto giro invece abbiamo tagliato, abbiamo accorpato il messaggio che volevamo mandare in meno minuti, volevamo fare un disco da riascoltare»

Decidi di fare un passo indietro dalle hit radiofoniche e dichiaratamente ballabili, in un momento in cui forse nel mercato non c’è grande spazio per questo genere di composizione…

«Ci ho pensato ma per me era molto più importante liberarmi. In realtà la questione del genere è sempre stato anche un modo per ostracizzarmi: “Cosmo è quello che fa elettronica”. Questa però non è musica elettronica, è un mischione di cose. Non volevo rimanere imbrigliato in quella roba lì. “Cosmo è quello che fa l’elettronica in cassa dritta e ci canta sopra” come concetto è veramente riduttivo rispetto alla mia visione musicale, alla mia cultura e sensibilità. Il fatto di rischiare lo metto sempre in conto: ogni volta che ho fatto uscire un disco c’è stato qualcuno che ha storto il naso»

Hai detto: «La mia musica ha un linguaggio che non tutti capiscono». Come mai non ti senti capito?

«Lo testimonia il fatto che a livello mediatico non riesco ad occupare gli spazi. Anche a livello di numeri non faccio le performance della vita, c’è una buona fetta di questo Paese che proprio non capisce quello che faccio, non gli arriva, lo ignora. Non sono Mahmood, non sono Angelina Mango…»

Visto che hai fatto due nomi che sono andati a Sanremo, ci sono diversi brani di questo disco che sarebbero potuti essere presentati al Festival…

«Si, L’abbraccio poteva andare a Sanremo, solo che quello è un ecosistema un po’ strano da maneggiare, non so… Devo dire che Sanremo quest’anno l’ho guardato e non mi ha colpito positivamente. Mi sembra che la rivoluzione sia finita. Abbiamo un nuovo status quo, molto conservatore, nonostante voglia scimmiottare l’elettronica pop internazionale, non ho visto grande coraggio. Quest’anno non ho visto cose fuori dalle righe, come Rolls Royce di Achille Lauro o Ciao Ciao de La Rappresentante di Lista. Quest’anno ho visto parecchio conformismo, sarà che magari le canzoni le producono sempre i tre, quattro autori soliti, o che Amadeus ci mette parecchio il naso nelle cose quindi ha una visione sua e vuole uniformare tutto rispetto questa visione. Non ho sentito cuore in quelle canzoni, forse i migliori sono stati Bertè e Geolier, ma forse è il contesto…Io sono convinto che in quel contesto è difficile che venga fuori il cuore. Not my cup of the e io non sono la loro»

Rispetto questo album hai anche parlato di musica come «atto masturbatorio»: è la sensazione che provi tu o quella che vorresti restituire a chi ascolta?

«Parlo della musica sperimentale, che spesso è un po’ una sega, no? A me piace sperimentare. Io e Alessio siamo grandi “masturbatori” di strumenti, però voglio riuscire a farlo in modo tale che non sia fine a se stesso, che arrivi a un pubblico, che veicoli una sensazione di straniamento, ma comprensibile. A me non interessa rivolgermi a una nicchia ed escludere tutti gli altri, ma essere potenzialmente comprensibile a chiunque. Vorrei che la mia masturbazione sia un piacere per tutti»

Sembra che il tuo modo di guardare alla musica sia una conseguenza precisa del tuo modo di guardare alla vita…

«Per me tutti i dischi riflettono pienamente quello che sto vivendo in quel momento, la mia visione della vita. Stavolta ho avuto vicende personali emotivamente intime ed è venuto un disco intimo. Ma anche, banalmente, il mio corpo invecchia. Ho 42 anni e ho anche meno voglia di saltellare continuamente e di essere meno politicizzato»

A questo proposito, il governo è intervenuto due volte pubblicamente riguardo la musica, prima con una legge contro i rave e poi paventando un protocollo per i testi rap…

«Vabbè, quelli sono oscurantisti nell’anima. Sembra che gli piaccia poter togliere i diritti alle persone. La cosa che riescono a fare meglio è trovare il capro espiatorio, senza risolvere la fonte del disagio che notano. Lo hanno fatto con i poveri: invece di allargare il reddito di cittadinanza, glielo togli e li costringi ad andare a lavorare per due soldi. Sicuramente ciò che sanno fare bene è reprimere, individuare minoranze contro cui scagliarsi. Basta vedere la crociata che stanno facendo contro il mondo lgbtqa+»

Sulle ali del cavallo bianco istintivamente mi ha fatto pensare alla figura dell’eroe che a cavallo del classico cavallo bianco salva qualcuno da qualcosa. Tu da cosa vorresti essere salvato? E da cosa ti piacerebbe salvare chi ti ascolta?

«Il cavallo bianco è un’immagine che porta verso l’infinito: la creatività, la fantasia senza compromessi… Quello che auguro alle persone è di farsi un giro su questo cavallo bianco, abbandonare lidi sicuri, la propria gabbia dell’identità e andare verso l’ignoto. Credo che andiamo salvati dal nostro io per prima cosa. Dobbiamo allontanarcene, disgregarlo, ricomporlo. Togliere un po’ di peso a quello che ci circonda. Nel momento in cui non dai per scontato che il tuo mondo sia così, che le relazioni che viviamo abbiano una consistenza granitica ma siano in realtà fatte di sogno, di parola, di credenza, le puoi soffiare via e puoi impostare i rapporti e la società in maniera diversa. Questa non è fuga dalla realtà ma è proprio tornarci alla realtà, con la consapevolezza che la realtà è di fumo e che la puoi veramente plasmare, nella tua vita quotidiana, nei tuoi impegni, nelle vibrazioni che vuoi emettere. Anche tu stesso puoi superarti, ma non in senso performativo – di numeri e di successo -, ma soprattutto scrostarti di dosso un sacco di ansie, un sacco di valori che non ti appartengono. Toglierti l‘angoscia di dover essere qualcuno che performa, di dover essere produttivo e vedere soltanto quanto sia bello respirare, godersi immobili il silenzio, i momenti piacevoli. Occupare il proprio tempo per tutte quelle attività che non sono remunerative ma che possono spiritualmente migliorare te e chi ti sta intorno. Una sana festa»

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