La stangata dei giudici allo Stato (26 anni dopo): «Risarcisca a Tim 528 milioni di euro». E il titolo vola in Borsa

L’azienda chiede ora di andare subito all’incasso per la vicenda del canone del 1998. Ma il governo frena e annuncia ricorso

La sentenza ha del clamoroso, anche alla luce del lasso di tempo che la separa dai fatti. La Corte d’Appello di Roma ha stabilito oggi che Tim ha diritto alla restituzione del canone concessorio preteso dallo Stato per il 1998, per un valore di poco superiore ai 500 milioni di euro. La somma del canone di quell’anno fu infatti riscosso dallo Stato nonostante, evidenziano i giudici, fosse già in vigore da un anno la direttiva sulla liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni che prevedeva l’opposto. «La somma dovuta è pari al canone originario, di poco superiore a 500 milioni di euro, più la rivalutazione e gli interessi maturati per un totale pari a circa 1 miliardo di euro. La sentenza è immediatamente esecutiva e Tim avvierà da subito le procedure per il recupero dell’importo in questione», rivendica ora l’azienda in una nota. Intenzione cui si è subito opposto però Palazzo Chigi: «La presidenza del Consiglio dei ministri, appresa la notizia della sentenza di condanna della Corte d’appello civile di Roma a risarcire in favore del gruppo Tim la somma di circa 528 milioni di euro, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di lite, comunica che proporrà ricorso per Cassazione e chiederà la sospensione degli effetti esecutivi della pronuncia». Ma intanto a brindare alla sentenza sono gli investitori di Tim: non appena diffusasi notizia della sentenza favorevole della Corte d’appello, il titolo è schizzato in Borsa, chiudendo poi le contrattazioni al +5,19%.


Le precedenti pronunce sul caso

Sulla vicenda del canone concessorio del 1998 era già intervenuta la magistratura europea. Le cui argomentazioni sono riprese dal comunicato di Tim, per supportare la linea del risarcimento: «In più occasioni la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha segnalato il contrasto tra la direttiva sulla liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni e le norme nazionali che avevano prorogato per il 1998 l’obbligo di pagamento del canone a carico dei concessionari di settore. In particolare, nel 2020, la magistratura europea ha stabilito che il sistema normativo comunitario non consentiva a una normativa nazionale di prorogare per l’esercizio 1998 l’obbligo imposto a un’impresa di telecomunicazioni, precedentemente concessionaria – come Tim -, di versare un canone calcolato in funzione del fatturato, ma permetteva soltanto la richiesta di pagamento dei costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione del regime di autorizzazioni generali e di licenze individuali».


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