Concorrenza cinese, costi alti e assenza di politica industriale: dentro la crisi del fotovoltaico in Europa – L’inchiesta

Meno del 2% dell’attuale domanda di energia solare può essere soddisfatta da pannelli prodotti in Europa. E le aziende continuano a chiudere

Le aziende europee del fotovoltaico – una delle filiere che più dovrebbero trainare la transizione ecologica – sono in crisi. Il piano messo a punto da Bruxelles negli ultimi anni punta a rendere l’Unione europea la prima grande economia a zero emissioni entro il 2050. Una strategia che passa soprattutto da uno sviluppo senza precedenti delle rinnovabili, e in particolare dei pannelli solari. Nel 2023, sono stati installati 56 GW di potenza fotovoltaica nei Paesi Ue. Un dato record e soprattutto in costante crescita. Per rispettare i target climatici fissati nell’ambito del Green Deal, l’Unione europea ha bisogno di installare almeno 70 GW ogni anno. Eppure, le imprese della filiera del fotovoltaico continuano a chiudere o interrompere la produzione, schiacciate dalla concorrenza estera e dalla mancanza di una strategia industriale europea. Il risultato? «Meno del 2% dell’attuale domanda di energia solare può essere soddisfatta da pannelli prodotti in Europa», spiega Anett Ludwig, responsabile Supply Chains di Solar Power Europe, una realtà che riunisce centinaia di aziende e organizzazioni della filiera del fotovoltaico.


La concorrenza cinese

Dietro le difficoltà dell’Europa nella produzione di pannelli solari si nascondono diverse ragioni. Innanzitutto, la concorrenza della Cina, leader indiscussa del settore a livello mondiale. Stando ai dati forniti dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), produrre un pannello solare in Europa costa circa 33 centesimi di dollaro per watt, contro i 24 centesimi di un pannello realizzato in Cina. A fare la differenza è soprattutto il costo dell’energia sostenuto dalle aziende, che in Europa è due volte più alto rispetto alla Cina e tre volte più alto rispetto agli Stati Uniti. Il costo totale stimato dalla Iea non tiene conto di una serie di altre voci, tra cui gli eventuali sussidi statali. Una pratica sicuramente più diffusa in Cina che in Europa e su cui di recente la Commissione europea ha lanciato alcune indagini.


La crisi della filiera europea

Questa differenza nei costi di produzione si traduce nel fatto che le imprese europee faticano a tenere il passo dei competitor stranieri. A inizio anno, Meyer Burger – l’ultima azienda rimasta a produrre moduli fotovoltaici in Germania – ha annunciato che chiuderà i suoi stabilimenti europei per trasferire la produzione negli Stati Uniti. A gennaio, la fabbrica di Belinus Solar, in Belgio, ha chiuso i battenti. Poco più tardi, l’olandese Exasun ha dichiarato bancarotta, mentre il produttore francese di moduli fotovoltaici Systovi è in liquidazione da metà aprile. A sentire chi lavora nella filiera del fotovoltaico, la concorrenza estera non è l’unico fattore che spiega le difficoltà delle aziende europee. Secondo Paolo Rocco Viscontini – presidente di Italia Solare, un’associazione che riunisce tutte le aziende italiane attive nel fotovoltaico – il vero problema è l’assenza di una politica industriale. «L’Europa ha bisogno di realizzare economie di scala e linee produttive importanti. In altre parole, serve creare un’industria europea forte, non parlare male dei cinesi», spiega Rocco Viscontini.

IEA | Un confronto dei costi di produzione di un modulo fotovoltaico

La situazione in Italia

A oggi, in Italia, nessuna azienda produce davvero pannelli solari. «Ci sono aziende italiane che fanno parte della filiera del fotovoltaico, ma si occupano tutte di assemblaggio, nessuna produce lingotti, wafer e celle», spiega ancora Viscontini. Un modulo fotovoltaico è costituito da vetro (sul fronte e sempre più spesso anche sul retro) e celle fotovoltaiche protette su entrambi i lati da fogli polimerici, oltre a una cornice in alluminio e una scatola di giunzione per i collegamenti elettrici. «Alcuni di questi componenti, a partire da quelli in alluminio o in vetro, si potrebbero produrre in Italia abbastanza facilmente, ma oggi arriva praticamente tutto dalla Cina per il semplice fatto che costano meno», fa notare Rocco Viscontini. A breve però potrebbe arrivare una buona notizia per la filiera del fotovoltaico. Entro fine anno, infatti, la fabbrica 3Sun di Catania – di proprietà di Enel – dovrebbe riaprire i battenti e diventare a tutti gli effetti una delle poche aziende in Europa a produrre celle fotovoltaiche.

«Dopo alcuni anni di produzione di moduli fotovoltaici a film sottile, 3Sun si è concentrata sui moduli con celle a tecnologia eterogiunzione (HJT), per una capacità attesa per il 2025 di 3 GW, anche con il supporto di importanti incentivi nazionali ed europei», spiega Rocco Viscontini. Ci sono altri progetti in corso, oltre alla riconversione della 3Sun, che presto potrebbero arricchire il panorama italiano della filiera del fotovoltaico. È il caso della lituana Solitech, che ha in programma di costruire uno stabilimento in provincia di Benevento per la produzione di moduli fotovoltaici, o di Futura Sun, che punta a fare lo stesso aprendo una nuova gigafactory in provincia di Padova.

ANSA | La premier Giorgia Meloni in visita alla fabbrica 3Sun di Catania (3 febbraio 2024)

Le indagini di Bruxelles contro i sussidi cinesi

In risposta alla crescente dipendenza dalle importazioni dalla Cina, l’Unione europea ha avviato una serie di indagini per accertare «il ruolo potenzialmente distorsivo del mercato delle sovvenzioni estere» sia per quanto riguarda la produzione di pannelli solari che per le auto elettriche. «Vogliamo preservare la sicurezza economica e la competitività dell’Europa garantendo che le imprese nel nostro mercato unico agiscano veramente in modo corretto», ha spiegato il commissario europeo Thierry Breton. Le indagini dell’esecutivo Ue sono ancora in corso e potrebbero culminare con l’introduzione di dazi all’importazione dalla Cina. Una soluzione che non sembra convincere tutti gli addetti ai lavori: «Non siamo d’accordo con queste indagini», commenta il presidente di Italia Solare, «sono solo pretesti per distogliere l’attenzione dal vero problema: la mancanza di una strategia industriale seria».

Secondo Rocco Viscontini, le aziende cinesi «producono moduli di qualità grazie agli ingenti investimenti in ricerca e competitivi grazie alle enormi capacità produttive neanche lontanamente paragonabili a quelle europee». E la strada che dovrebbe percorrere l’Unione europea è proprio quella tracciata dalla Cina: «Dobbiamo diventare bravi come e più di loro», precisa. «Magari anche con un po’ di protezionismo e sussidi, ma facendo attenzione a non causare limitazioni eccessive nonché aumenti di prezzo dei moduli cinesi, di cui abbiamo bisogno ancora per diversi anni, mentre si crea e sviluppa una filiera produttiva europea forte e competitiva».

parco solare cina
Un parco solare sulla costa Sud-Est della Cina (Dreamstime/Guobiao Qiu)

La strategia Ue

La transizione dalle fonti fossili alle rinnovabili rappresenta uno dei pilastri della strategia attraverso cui l’Ue punta ad azzerare le proprie emissioni entro il 2050. «L’attenzione politica e il desiderio di agire ci sono eccome», spiega Anett Ludwig di Solar Power Europe. Allo stesso tempo, «i produttori continuano ad annunciare pause della produzione o chiusure delle fabbriche, quindi chiaramente gli sforzi non sono sufficienti». Ciò di cui finora non si è vista traccia è una politica industriale europea di lungo periodo in grado di pianificare e guidare questa transizione. Nel 2023, la Commissione Ue ha presentato il Piano industriale del Green Deal, pensato per creare «un contesto più favorevole all’aumento della capacità produttiva dell’UE per le tecnologie e i prodotti a zero emissioni nette». Questa strategia, ricorda Ludwig, avrebbe dovuto essere accompagnata da un fondo ad hoc, chiamato Sovereignty Fund (Fondo di sovranità). Questo strumento però non ha mai visto la luce.

Le promesse del Net Zero Industry Act

Alla plenaria di metà aprile, l’ultima prima delle elezioni, il Parlamento europeo ha approvato in tempi record il Net Zero Industry Act, che fissa obiettivi ambiziosi: produrre il 40% del fabbisogno annuo europeo di tecnologie a zero emissioni nette entro il 2030 e raggiungere il 15% del valore del mercato globale. «È un pezzo essenziale del puzzle della strategia industriale europea, come dimostra la rapidità dei negoziati. Sono poche le leggi europee che vengono approvate nel giro di un anno», fa notare Ludwig. Grazie al Net Zero Industry Act, i Paesi Ue avranno la possibilità d’ora in avanti di valutare i progetti negli appalti pubblici non solo in base al prezzo, ma anche seguendo criteri come la sostenibilità. Le tecnologie sostenute da queste nuove regole comprendono le rinnovabili, il nucleare, le tecnologie di stoccaggio dell’energia e non solo. Il provvedimento prevede inoltre la creazione di «zone di accelerazione», che beneficeranno di un processo di autorizzazione veloce per le installazioni di rinnovabili.

La proposta di una «Banca solare»

L’adozione del Net Zero Industry Act è stata accolta con favore dall’industria del fotovoltaico. Eppure, per risolvere i problemi del settore servirebbe ben altro. «Ad alcuni produttori restano settimane di sopravvivenza, questa emergenza richiede un’azione urgente da parte dell’Ue delle autorità nazionali», avverte Ludwig. Una delle richieste che il settore avanza con più insistenza è la revisione delle regole sugli aiuti di Stato. A oggi, i governi possono aiutare le aziende ad affrontare gli investimenti iniziali necessari per aprire un nuovo stabilimento. Ciò che chiedono le imprese del fotovoltaico (e non solo loro) è di permettere l’erogazione di aiuti di Stato anche per attenuare l’impatto delle bollette.

Sullo sfondo, poi, resta sempre la questione economica. La richiesta di Solar Power Europe è di istituire una sorta di «Banca solare», una struttura che serva a incanalare i vari finanziamenti e rilanciare gli investimenti nella filiera del fotovoltaico. Questa struttura, spiega Ludwig, si limiterebbe a distribuire soldi provenienti da fondi già esistenti, come il Fondo per l’innovazione, e lavorerebbe a stretto contatto con la Banca europea degli investimenti. «Si tratterebbe di un fondo di circa 8 miliardi di euro, ripartito su un periodo di 10 anni, che coprirebbe le spese in conto capitale e le spese operative per aumentare la capacità produttiva di pannelli solari in Europa», precisa la responsabile Supply Chain di Solar Power Europe. In questo modo, spiega Ludwig, il settore del fotovoltaico potrebbe uscire finalmente dal periodo di crisi che sta attraversando. Allo stesso tempo, l’Unione europea farebbe un altro passo decisivo verso il raggiungimento di quei target climatici che ha promesso di rispettare.

commissione pannelli solari
EU COMMISSION | Un’installazione sulla facciata del Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles

Foto di copertina: EPA/Clemens Bilan | La fabbrica Meyer Burger di moduli fotovoltaici a Friburgo, in Germania (7 dicembre 2022)

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