Il primo paziente con l’impianto Neuralink: «Mi ha reso indipendente, ora vorrei collegarlo a una Tesla e viaggiare da solo»

il 30enne ripercorre i primi mesi dall’intervento e guarda alle prospettive future

Nel 2016, Noland Arbaugh subì una grave lesione del midollo spinale mentre nuotava in un lago. I dettagli che riesce a ricordare sono confusi. Si lanciò in acqua con i suoi amici, e poco dopo esservi entrato sbatté la testa contro qualcosa, o qualcuno. Non riusciva a muoversi ma lentamente risalì a galla. Da allora Arbaugh è paralizzato dal collo in giù. All’epoca andava all’Università, oggi ha 30 anni, e nel tempo ha imparato a muoversi su una sedia a rotelle e ad usare un piccolo joystick per comandare un iPad di fronte a lui. Nonostante sia riuscito ad adattarsi alla sua nuova realtà la parte più difficile, per lui, è sempre stata la sensazione di essere un peso per la propria famiglia. Nel gennaio del 2024, Arbaugh è diventato la prima persona a ricevere il dispositivo sperimentale di Neuralink, chiamato Telepathy.


Come funziona Neuralink

L’interfaccia di paternità dell’azienda di Elon Musk decodifica i segnali di movimento inviati dal cervello e li trasforma in comandi per il computer. In poche parole, significa che se Arbaugh immagina di far spostare il cursore del pc, il cursore si sposta, senza che lui debba muovere un muscolo. In un’intervista a Wired Us, Arbaugh racconta com’è cambiata la sua vita dopo l’impianto. Prima era costretto principalmente a letto. Doveva stare in una determinata posizione per poter usare il joystick e se questo cadeva, qualcuno doveva raccoglierlo per lui. Oggi, Arbaugh non ha maggior libertà di movimento, ma può comandare un computer senza nessun ausilio oltre all’impianto cerebrale. A parlargli dell’esperimento a cui ha preso parte è stato un amico.


«Tutto ciò che mi rimane è il cervello»

Quando ha saputo di essere stato selezionato per l’esperimento, Arbaugh ha cercato di mantenere basse le aspettative, «ma era difficile non essere entusiasta». L’idea dell’operazione al cervello, però, è stata difficile da accettare: «Sono tetraplegico: e tutto ciò che mi rimane è il mio cervello. Quindi lasciare che qualcuno entri e faccia casino, è un grande impegno da prendersi. Se qualcosa va storto, per me è un problema. Ma non volevo che le mie paure si intromettessero». Ci sono volute decine di test prima di poter avere l’autorizzazione a procedere. Secondo i piani, Arbaugh dovrebbe tenere l’impianto per un anno.

«Capii subito che era andata bene»

«Ero sdraiato nel mio letto d’ospedale subito dopo l’intervento chirurgico, quando sono entrati e hanno attivato l’impianto per la prima volta», racconta. «Mi hanno mostrato uno schermo con diversi canali e hanno detto che erano segnali in tempo reale che il Neuralink stava captando nel mio cervello. Quindi sapevo che stava funzionando». Il primo istinto di Arbaugh «è stato quello di iniziare a giocare, muovendo le dita, per vedere se riuscivo a generare picchi di attività cerebrale». «Ogni volta che muovevo il dito indice, c’era un picco del segnale. L’ho fatto per tre o quattro volte. Nella stanza tutti gli esperti stavano impazzendo dalla gioia», spiega.

Il distacco dei connettori

A quel punto Neuralink è stato collegato all’app che ne costituisce l’interfaccia e pensando ai movimenti che gli chiedevano gli esperti – aprire e chiudere la mano, toccare una superficie con un dito, unire tra loro due dita diverse – Arbaugh ha calibrato il sistema. «È stato molto intuitivo», racconta. «Non è stato affatto difficile e penso che da qui in poi possa solo migliorare». Nei primi 100 giorni con l’impianto, alcuni connettori si sono staccati dal cervello di Arbaugh, influenzando temporaneamente la funzionalità. Sono stati momenti difficili per Arbaugh: «Mi ero accorto subito che qualcosa non andava, appena iniziato a perdere il controllo del cursore. Pensavo che fosse un errore da parte loro, come se avessero cambiato qualcosa nel software, peggiorandone le prestazioni». Tuttavia con una ricalibrazione è stato possibile risolvere i problemi e Arbaugh non è più preoccupato che se ne verifichino altri.

L’indipendenza e il sogno di viaggiare

Oggi Neuralink ha reso Arbaugh molto più indipendente: «Mi fa sentire meno incapace e meno pesante per gli altri, che ne beneficiano tanto quanto me. Adoro il fatto che le persone intorno a me non debbano starmi dietro come prima. A parte una guarigione completa, credo che ciò che la maggior parte dei tetraplegici desideri sia l’indipendenza». Il 30enne ha le idee chiare su quale sarebbe il prossimo passo da compiere con questa tecnologia: «Sarebbe davvero fantastico se avessi un robot Tesla Optimus da controllare con il cervello. Farebbe tutto per me e e si prenderebbe cura di me. Probabilmente eliminerebbe il 90% delle cose per le quali ho bisogno dell’aiuto altrui. Oltre a ciò, Neuralink potrebbe connettersi ad altre cose. Potrei connettermi a un’auto: una Tesla sarebbe davvero interessante, perché sono già a guida autonoma. Avrei solo bisogno di trovare un modo per accedervi e impostare un indirizzo. In questo momento la mia missione è riuscire ad arrivare ovunque autonomamente. Cambierebbe veramente tutto».

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