Lo spettro dell’astensionismo sulle Europee: «La maggioranza degli italiani potrebbe non votare». L’allarme per il Sud (e per il M5s)

Per Antonio Noto ci sono «molte probabilità» che diserti le urne oltre il 50%. Conte e Salvini potrebbero pagarne il conto più salato

Sul fatto che Fratelli d’Italia sarà confermata prima forza politica del Paese alle Europee, nessuno ha dubbi. Da verificare sarà se mai soltanto se il partito della premier andrà oltre il bottino di voti fatto alle Politiche del 2022 – 26% – o meno. Ma lo spettro che agita trasversalmente i partiti a pochi giorni dall’apertura delle urne è un altro: quello dell’astensionismo. Sarà questo, infatti, il vero “primo partito” scelto dagli italiani. Una tendenza ormai nota nel comportamento elettorale. Di ricerche compiute sul tema, così come di sondaggi, gli istituti demoscopici non ne possono più pubblicare. Eppure Antonio Noto, direttore di Noto sondaggi, consegna a Repubblica la sua fosca previsione. Si rischia che per la prima volta siano più gli italiani a non votare di quelli a farlo: «È indubbio che le probabilità di andare sotto al 50% siano molte». Le misurazioni su cui si basa tale affermazione non sono note. Eppure un altro esperto in materia come Roberto D’Alimonte sembra condividere la valutazione: «Non ho la sfera di cristallo – dice sempre a Repubblica – ma i timori di questi giorni mi sembrano fondati. Si rischia di scendere sotto il 54 per cento dell’ultima volta». Riferimento al tasso di partecipazione al voto delle Europee 2019, che già segnarono il punto più basso nella serie storica: delle Europee, e non solo.


Chi rischia e chi no

Previsioni tutte da verificare alla prova dei fatti. Quel che è certo è che gli indecisi sono milioni, e tanti saranno anche quelli che resteranno a casa. Chi ne pagherà di più lo scotto? Sempre secondo D’Alimonte, a rischio sono soprattutto Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Per ragioni speculari. Il Movimento 5 stelle rischia di pagare il tasso di astensionismo potenzialmente “esplosivo” al Sud Italia, dove ha tradizionalmente un rilevante bacino elettorale. Che potrebbe però rivelarsi “prosciugato”. Per il politologo, infatti, il Conte che si presenta alle Europee 2024 «non ha radicamento. E ha candidati con scarso appeal, che faranno fatica a raccogliere preferenze». Proprio quelle che di solito fanno la differenza nelle urne al Sud, dove «contano i pacchetti di voti. Solo che stavolta c’è poco da scambiare. E le circoscrizioni sono enormi». E così il divario di affluenza tra CentroNord e Sud rischia di ampliarsi ulteriormente rispetto al 2019, quando fu di 17 punti. Diversa la situazione della Lega. Qui per D’Alimonte il rischio per Salvini è quello di pagare errori prettamente politici, posizionando il partito in una terra incerta. «Cosa ci fanno Zaia e Vanancci nello stesso partito? Posizionando il partito all’estrema destra ha regalato Nord a Fratelli d’Italia e fatto sopravvivere Tajani». Esito paradossale, spiega il docente, se si pensa che il leader della Lega «dopo la morte di Berlusconi aveva una prateria. Invece ha perso il Nord e non ha conquistato il Sud». A soffrire meno l’astensionismo potrebbero essere i due partiti maggiori degli schieramenti, Pd e FdI, che possono contare su un maggior radicamento. Resta il fatto, per D’Alimonte, che nessuno dei protagonisti della contesa politica ha fatto un figurone in questa campagna elettorale:«deludente, scialba, moscia. Nessuno ha veramente educato ai temi europei. Si è parlato più di Vannacci che del futuro dell’Europa». La parola (si spera) alle urne.


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