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Milo Infante: «Premiati dagli ascolti ma la Rai ci ignora»

16 Giugno 2024 - 09:18 Redazione
Il conduttore di Ore14 si racconta al Corriere: «Il direttore Paolo Corsini, quando lo sento, mi dice: "non ti chiamo perché non mi dai problemi". Ma se un pezzo della Rai ci ignora, la considerazione del Tgr ci consente di arrivare sulle notizie fra i primi»

Milo Infante, conduttore di Ore14, è intervistato da Candida Morvillo per il Corriere della Sera. E a dispetto degli ottimi ascolti sul suo programma spiega che in realtà non viene applaudito più di quel tanto in viale Mazzini. «Se avessi dovuto scommetterci un centesimo quando ho iniziato – racconta – quattro anni fa, non l’avrei fatto. Anche perché arriviamo dalle rubriche del tg, non abbiamo il trenta per cento di traino. Eppure, lo share sale dal 5 all’8, al 9 per cento, e siamo più visti anche del programma che ci segue: vuol dire che la gente si sintonizza proprio per vedere noi». E rincara: «Siamo il programma più inosservato nella storia della tv: mai visto un comunicato sugli ascolti record, mai stati citati in una conferenza stampa. Poi, il direttore Paolo Corsini, quando lo sento, mi dice: “non ti chiamo perché non mi dai problemi”. Ma se un pezzo della Rai ci ignora, la considerazione del Tgr ci consente di arrivare sulle notizie fra i primi. Questo è uno dei motivi del nostro successo, un altro è l’alchimia fra il pubblico e i nostri ospiti, che non rispondono a domande a piacere, ma apportano informazioni, esperienze, elementi di verità. Piace anche che non abbiamo paura di prendere posizione e siamo sempre contro le ingiustizie». «Questa tv – precisa – porta voti alla destra solo se è al potere la sinistra. Se la premier è Giorgia Meloni e la tv sottolinea un problema di ordine pubblico, non credo che al governo siano contenti».

I genitori, il mutuo e quell’infanzia a Villa San Giovanni

Milo Infante ricorda anche la sua infanzia: «Fermata Villa San Giovanni. Viale Monza 325 era un casermone affacciato su un giardinetto, eravamo tutti figli di tante madri: la mamma di Max, dal balcone, controllava anche Giacomo, Claudio, Milo. E quando il portiere diceva la famosa frase “il pallone te lo buco”, noi avevamo paura. Oggi, quel portiere avrebbe paura di essere preso a sprangate. C’era una rete di controllo e protezione ormai sparita». «Ricordo una notte in cui tornai a casa tardi. Facevo il giornalista all’Indipendente, parcheggio e vedo un compagno delle elementari che mi fa segno di stare zitto. Non capisco, ma in un attimo arrivano le auto della polizia per un’operazione antidroga. Era un mondo così: c’era chi cresceva diritto e chi storto. Poi, la delinquenza giovanile è peggiorata mentre derubricavamo rapine e violenze al termine “baby gang” e cercavamo scuse: la società, la famiglia…», racconta il giornalista. Infante ricorda anche il papà Massimo, giornalista. «Mio padre era anzitutto una brava persona. Scriveva di terrorismo, faceva grandi inchieste e, per quello che so, non ha mai scritto il falso. Da direttore dell’Alto Adige, era arrivato alla Notte, a Milano, ricominciando da capo, perché in Trentino era stato truffato da un amico che gli aveva fatto perdere i suoi risparmi». «Ho dato dispiaceri ai miei genitori. Quando stavamo in affitto in 60 metri quadrati – racconta – doveva venire un compagno di liceo e dissi: mi vergogno di questa casa. Lo sguardo di mia madre me lo porto dentro. I miei fecero un mutuo carissimo per 75 metri lì accanto e sono mancati prima che potessi ripagarli dei loro sacrifici. Non sono stato un bravo ragazzo, ma penso di essere una persona onesta. Se mi chiede cosa vorrei che gli altri pensassero di me, vorrei che fosse quello che penso io di mio padre: era un brav’uomo».

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