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Da Vannacci «felice» a Zingaretti «incredulo»: le reazioni della politica italiana allo strappo Von der Leyen-Meloni

18 Luglio 2024 - 19:16 Simone Disegni
La scelta di FdI sul bis della presidente agita gli eurodeputati, che nei corridoi del Parlamento commentano la decisione della premier di votare con i sovranisti, prendendo così le distanze da Tajani e dalla cabina di regia Ue

Da Strasburgo – Le vacanze sono salve. Quando sono passate non più di due ore dall’annuncio dell’esito del voto su Ursula von der Leyen, i corridoi del Parlamento europeo di Strasburgo sono già spettralmente deserti: i trolley di molti eurodeputati son già stati caricati in auto, treno o aereo. Il loro lavoro è solo all’inizio certo, la prossima settimana sono attesi a Bruxelles per la formazione delle commissioni in cui siederanno. Ma l’ok al reinsediamento della presidente della Commissione, tutto sommato, fa felici un po’ tutti rispetto all’incubo di un’estate passata in nuovi estenuanti negoziati. Eppure, tra molti eurodeputati italiani, questo sembra davvero l’unico motivo di sollievo. Il no di Giorgia Meloni a Von der Leyen, lasciato trapelare solo a cose fatte, dopo giorni di melina estenuante, ha lasciato il segno in molti. Nicola Zingaretti, capogruppo Pd in pectore, riemerge dalla fine dei lavori d’Aula incredulo: «Ma ci rendiamo conto di che cos’hanno fatto? Prima dicono “Abbiamo votato uniti, ma non vi diciamo chi”, come se fosse un quiz e non una scelta di primaria importanza politica. Poi ci fanno sapere che hanno “votato contro perché c’erano dentro i Verdi”. Mai vista una cosa del genere». All’inizio della tre giorni di Strasburgo l’ex segretario Pd ci aveva consegnato tutti i suoi timori su una Meloni che «confonde l’interesse di partito con quello del Paese». Oggi conferma in toto quel giudizio, ma ci aggiunge una nota ancor più cupa: «La verità è che da questa vicenda emerge l’inadeguatezza della classe dirigente della destra italiana».

I proclami di guerra di Vannacci (e Salvini)

Classe dirigente di cui ormai è parte integrante – appena un po’ più a destra – pure Roberto Vannacci, che invece per giorni ha distribuito volentieri proclami e battute ai cronisti di mezza Europa con l’aria del furbacchione arrivato a rovinare la festa dell’ancien regime. Dunque, è soddisfatto il generale di com’è andata a finire? «Ma no, è una sconfitta per l’Europa!». Ma come, non è contento che alla fine anche Meloni si sia allineata a voi nel no? «Certo, la sconfitta sta nella rielezione di Von der Leyen, che in cinque anni ha deluso su tutta la linea: l’Europa è più povera, instabile e insicura di quanto sia mai stata», risponde a Open. Ma del riallineamento a destra di Meloni quindi è felice o no? «Sono felice di chiunque abbia votato contro». Compresa Ilaria Salis dunque, con cui già ieri s’è trovato dalla stessa parte della barricata nel voto sulle armi all’Ucraina. «Sa come dice il detto del campo? Il nemico del mio nemico è mio amico». Il suo patron politico Matteo Salvini, d’altra parte, negli stessi minuti consegna via social il suo inappellabile de profundis sul nuovo corso politico: «Abbiamo votato no all’inciucio con le sinistre, a una Commissione Von der Leyen che propone guerra, sbarchi di clandestini e auto elettriche cinesi per tutti dal 2035. Non possono comprarci, non possono spingerci a chinare la testa», dice in un video con sottofondo musicale guerresco, in pieno stile Viktor Orbán.

Vannacci commenta l’esito del voto su Von der Leyen insieme all’eurodeputato della Lega Paolo Borchia

La maggioranza in pezzi e i nodi da sciogliere

Non esattamente il migliore dei viatici per chi – il governo di cui è vicepremier, fino a prova contraria – da domani dovrà sedersi al tavolo con Von der Leyen per concordare la scelta del nuovo Commissario italiano, nei prossimi mesi e anni per negoziare gli spazi vitali delle prossime manovre di bilancio italiane, e tutto il resto. Come tenere insieme la posizione sempre più battagliera del Salvini “guerriero” per la gioia di Orbán e Vannacci con quella degli uomini di Giorgia Meloni – che già smorzano il senso di quel no e si dicono pronti al dialogo con Von der Leyen, se non a rientrare presto in maggioranza – e ancor più con il sì entusiasta pronunciata dagli eurodeputati Ppe fedeli ad Antonio Tajani? È la domanda che aleggia senza risposta sull’estate della politica italiana ed europea. Che ora può sollevarsi leggera verso le destinazioni di mare, certo. Ma col peso di una contraddizione fatale che prima o poi andrà risolta. Con le buone o con le cattive.

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