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I 18enni israeliani che si rifiutano di combattere. Parla l’obiettore Greenberg: «Sessanta giorni di carcere per dire no alla guerra di Netanyahu»

10 Ottobre 2024 - 12:01 Alessandra Mancini
«Una società giusta non può essere costruita sulla canna di un fucile», dice a Open il refusenik. Intanto 130 militari hanno minacciato di lasciare la divisa se il governo non accetterà un accordo sugli ostaggi

C’è una parte della società israeliana che si rifiuta di prestare servizio nelle Forze di difesa. Vengono definiti refusenik, cittadini che rinunciano all’arruolamento. Si tratta, molto spesso, di una scelta politica e una forma di protesta «contro l’attuale guerra a Gaza, l’espansione degli insediamenti israeliani e l’espulsione dei palestinesi: non posso fare parte di questo sistema immorale», dice a Open Itamar Greenberg, diciottenne, obiettore di coscienza ed attivista per la causa palestinese. È cresciuto in un famiglia haredi, di ebrei ultra-ortodossi, a Bnei Brak, a Est di Tel Aviv. A 12 anni ha preso la decisione di arruolarsi nelle Israel defence forces per «sentirsi parte» della società: «Non volevo essere un soldato, ma volevo essere israeliano», afferma. «Ora che ho 18 anni ho capito che la porta per entrare nella società israeliana passa attraverso l’oppressione di un altro popolo e questa è un’ingiustizia. Una società giusta – afferma – non può essere costruita sulla canna di un fucile». Così ha scelto di rinunciare apertamente a combattere tra i ranghi dell’esercito. 

Il carcere per chi si rifiuta di servire nell’esercito

In Israele il servizio militare è obbligatorio per tutti i cittadini e le cittadine al compimento del diciottesimo anno d’età. Chi ha già prestato servizio può inoltre essere richiamato per addestramenti, impieghi operativi o in caso di emergenza. Ottenere l’esenzione per motivi fisici o religiosi è difficile e l’obiezione di coscienza non è un diritto riconosciuto. Il 25 giugno scorso la Corte suprema ha ordinato l’arruolamento anche degli ebrei ortodossi, che finora beneficiavano di un’esenzione introdotta nel 1948. Non è ancora chiaro con che modalità avverrà o quando inizierà. Ciò che è certo è che il prolungamento del conflitto a Gaza e gli altri due fronti aperti in Libano e Cisgiordania stanno mettendo a dura prova il sistema militare israeliano. Un gruppo di militari, circa 130, ha minacciato ieri di lasciare la divisa se il governo non accetterà un accordo sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. «Continuare la guerra a Gaza non solo ritarda il ritorno dei rapiti, ma mette anche in pericolo le nostre vite», si legge nella lettera indirizzata al premier Netanyahu e al ministro della Difesa Gallant. Per alcuni di loro «la linea rossa è stata superata», per altri «arriverà il giorno» in cui smetteranno di prestare servizio nell’esercito.

Dall’inizio del conflitto, l’Idf ha richiamato quasi 360mila riservisti. Oltre a loro, tantissimi giovani come Greenberg hanno scelto di rinunciare apertamente ad entrare nelle Forze di Difesa. «Quando un 18enne o un riservista si rifiuta pubblicamente di prestare servizio nell’Idf viene processato e mandato in carcere. Una volta scarcerato viene richiamato dalle Forze armate e se rinuncia all’arruolamento subisce un nuovo processo», spiega Nimrod Flaschenberg, portavoce di “Mesarvot”, che si traduce in italiano Ci rifiutiamo, una rete di sostegno ai giovani che non vogliono arruolarsi. «Le cose sono peggiorate dopo il 7 ottobre: ora i tempi di incarcerazione sono molto più lunghi. Il primo refusenik dall’inizio del conflitto, Tal Mitnick, – conclude – ha trascorso 185 giorni in prigione».

Le conseguenze del rifiuto

Per il suo rifiuto pubblico, anche Greenberg ha dovuto scontare una pena detentiva di 60 giorni in un carcere israeliano. «Tra poco dovrò tornare per un altro periodo. Probabilmente ho ancora qualche mese in prigione», racconta il giovane refusenik. Tale rifiuto ha, però, un’altra conseguenza oltre alla detenzione: la forte pressione sociale. La sua famiglia di ultra-ortodossi ha accettato la sua decisione: «Vivo ancora insieme ai miei genitori, ma ho perso molti amici per le mie scelte». Nonostante ciò è convinto della sua scelta. «Il mio rifiuto è un appello immediato e diretto: fermare la guerra, l’espansione degli insediamenti e l’espulsione dei palestinesi. Dopo di ciò viene il tempo di fare del bene – continua – permettere al popolo palestinese di esercitare il proprio diritto nazionale all’autodeterminazione e di vivere come due popoli in pace e uguaglianza fianco a fianco».

La speranza per il giovane è che «tutte le forze nella nostra società – ebrei, arabi, laici, religiosi e haredi – si oppongano alla guerra che vogliono gli estremisti al governo». L’esecutivo di Benjamin Netanyahu è «odiato dalla maggior parte dei giovani israeliani», spiega il 18enne secondo cui i governanti di oggi non sono così tanto diversi da quelli che li hanno preceduti. «A differenza della maggior parte degli israeliani comuni, Netanyahu non è la vittima del racconto, ma un leader criminale». E, questo, anche prima del 7 ottobre. «Ciò che accaduto un anno fa ha unito gli israeliani nel lutto e nel dolore in un modo molto più intenso di quanto conoscessimo. Ma ora il futuro è una grande domanda: non so cosa accadrà, ma combatto con tutti gli strumenti che ho a disposizione per la riconciliazione anche se sarà difficile – conclude il giovane -. Per farlo, abbiamo bisogno di molta assistenza internazionale». 

Foto copertina: il 18enne israeliano Itamar Greenberg

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