Il Pride a Tel Aviv, le nozze del figlio di Netanyahu, i segnali dagli Usa. Così Israele ha sorpreso l’Iran: «Bomba nucleare a un passo»


Gli attacchi che Israele ha sganciato sull’Iran a partire dalla notte di venerdì 13 giugno devono gran parte della loro efficacia all’effetto sorpresa. Che Teheran si aspettasse un attacco è certo, ma è sul quando che il regime si è sbagliato: secondo fonti citate dal New York Times, infatti, l’Iran si immaginava che i raid israeliani sarebbe scattati solo dopo i colloqui con gli americani previsti per oggi in Oman. Questa convinzione è stata maturata anche grazie a una «trappola» messa in atto da Benjamin Netanyahu, che ha portato Teheran a guardare altrove per nascondere quello che stava tramando nell’ombra.
Le nozze del figlio di Netanyahu
Tra gli eventi che hanno portato il regime iraniano a credere in un blitz israeliano solo dopo i colloqui in Oman, ci sono state le nozze del figlio di Netanyahu, Avner, con l’affascinate Amit Yardeni, che avrebbero dovuto celebrarsi lunedì e che sono poi state cancellate dopo l’inizio della guerra con l’Iran. Ebbene, come osservano Davide Frattini e Guido Olimpio sul Corriere della Sera, il luccichio degli abiti e i preparativi hanno abbagliato il regime, nascondendo ciò che in realtà stava avvenendo nel più stretto riserbo. A Tel Aviv, oltretutto, proseguivano i preparativi per la sfilata del Pride organizzato dalla comunità Lgbtq+, anch’essa cancellata solo dopo l’avvio dei raid.
L’organizzazione del Pride a Tel Aviv
Lo stesso governo israeliano ha accreditato volentieri lo scenario degli «impegni privati» del premier, facendo sapere che Netanyahu avrebbe trascorso un weekend di relax nel nord del Paese prima di partecipare al matrimonio del figlio. Nebbia fitta sui piani reali perfino per i ministri israeliani: ben pochi tra loro quando sono entrati in riunione giovedì sera sapevano che la decisione di attaccare Teheran era già stata presa lunedì scorso, e le missioni aeree stavano per partire. Ufficialmente la riunione era convocata per discutere della ripresa delle trattative per la liberazione degli ostaggi ancora tenuti a Gaza da Hamas. Vertice che, secondo quanto ricostruito dal quotidiano Haaretz, sarebbe andato avanti fino a molto tardi: quando qualcuno ha chiesto al premier a che punto fossero i piani per un eventuale raid, Netanyahu avrebbe risposto: «È già in corso».
Il programma nucleare e i segnali sui raid
Eppure, i segnali di un possibile blitz c’erano tutti, a volerli riconoscere. Secondo quanto riferito dalla radio militare, Israele avrebbe scoperto che gli scienziati della Repubblica islamica avevano già condotto esperimenti di successo nel processo di progettazione di un’arma nucleare, portandola molto vicino alla capacità di produrre effettivamente una bomba. A questo si è aggiunta la preoccupazione di Israele di non sapere tutto e che Teheran potesse essere in una fase ancora più avanzata nella costruzione di una bomba atomica. Secondo il rapporto, l’Iran avrebbe riunito gli esperti e li avrebbe divisi in gruppi di lavoro per operare in segreto già a partire dalla fine del 2023 o dall’inizio del 2024. Cioè poco dopo l’assalto di Hamas del 7 ottobre, che ha scatenato la guerra in corso a Gaza. Così Netanyahu ha rotto gli indugi. Gli Usa erano stati avvertiti, come evidente dal fatto che tra mercoledì e giovedì Washington aveva avviato lo «svuotamento» delle ambasciate nella regione, a partire dall’Iraq. Ma, nonostante il flusso di notizie su dei possibili raid fosse molto intenso, gli Ayatollah, come tanti osservatori, hanno considerato le indiscrezioni alla stregua di una mossa psicologica in chiave negoziale.
Gli infiltrati del Mossad
Inspiegabilmente ufficiali di alto livello iraniani si sono riuniti tutti insieme, anziché adottare la tecnica della dispersione, e qui sarebbero stati sorpresi dalle incursioni. I media israeliani sostengono che sarebbero stati degli infiltrati del Mossad nel Paese a «convincerli» a restare insieme in uno stesso luogo poi segnalato all’aviazione che lo ha bombardato. Una versione non verificabile. Quel che è certo è che sono almeno 9 gli scienziati assassinati ed erano coloro che rappresentavano il «sapere» del nucleare. Nessuno a Teheran si è preoccupato di metterli al riparo. Certo, erano professori universitari, con un ruolo pubblico. Tuttavia, in una fase di tensione avrebbe avuto senso garantire loro una protezione. Ora servirà del tempo per rimpiazzarli.