L’indagine su Emanuela Orlandi e la storia del presunto aborto clandestino prima della scomparsa


L’inchiesta su Emanuela Orlandi vira su un presunto aborto clandestino. Effettuato prima della sua scomparsa il 22 giugno del 1983. Alla base dell’indagine per favoreggiamento nei confronti di Mario Barbato ci sono una serie di post su Facebook in cui si parla di una presunta testimone anonima, L.C., che in quegli anni lavorava come segretaria in uno studio di ginecologia di Roma. «Mi ha raccontato che, qualche giorno prima della scomparsa di Orlandi, nello studio si presentò, dietro appuntamento riservato, un uomo sulla cinquantina, alto più o meno un metro e ottanta, con capelli castani e molto stempiato che accompagnò una ragazza di circa 16 anni, bassa, con i capelli lunghi e mora, a una visita ginecologica», sostiene.
Il presunto aborto di Emanuela Orlandi
Secondo il racconto della presunta testimone «l’esito della visita aveva stabilito che la ragazza era agli inizi di una gravidanza. Il medico consegnò una copia della cartella medica all’uomo, che si era fatto passare per il padre, e una a lei che la depositò nell’archivio». Ma dopo la pubblicazione dei manifesti sulla scomparsa lo stesso ginecologo ordinò alla segretaria «di far sparire dall’archivio quella cartella clinica perché non voleva grattacapi». La storia somiglia alle tante che nei decenni sono girate intorno al mistero della scomparsa della “Vatican Girl“. Ognuna ha la stessa caratteristica: i documenti sono ormai irrintracciabili, i chiamati in causa sono morti. Per questo spesso i magistrati hanno concluso che a parlare fossero mitomani.
Mario Barbato e L.C.
La procura ha disposto il sequestro del pc e del telefono dell’indagato. Probabilmente dopo averlo sentito come testimone. E probabilmente dopo che l’uomo si è rifiutato di fornire i contatti della presunta testimone, che gli aveva chiesto discrezione. L’edizione romana di Repubblica aggiunge qualcosa in più. Secondo il decreto di perquisizione Emanuela sarebbe stata accompagnata alla visita «da un “tutor” impiegato all’epoca presso la Camera dei deputati». Ed era incinta. All’epoca lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi, lavorava, così come altri parenti, proprio a Montecitorio. Gli inquirenti, secondo il quotidiano, valutano quindi la possibilità che dietro la scomparsa possa esserci un ricatto sessuale, una gravidanza o anche solo il timore di essa.
La gravidanza
Un’ipotesi che, se confermata, potrebbe indicare che chi ha avuto un ruolo nella vicenda abbia agito spinto dalla paura. L’ipotesi della gravidanza però fa a pugni con una circostanza ricordata da Maria Pezzano all’epoca della scomparsa della figlia: Emanuela aveva le mestruazioni. In altre occasioni poi Barbato ha spesso scritto su ipotesi riguardanti la cittadina vaticana. Senza riscontri di alcun tipo.