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Il Bambino Zero dei Diavoli della Bassa: «Le mie bugie sui miei genitori estorte da psicologi e assistenti sociali»

13 Maggio 2025 - 07:11 Alba Romano
davide galliera diavoli della bassa
davide galliera diavoli della bassa
Davide Galliera raccontò di aver subito abusi da parte dei familiari. E di aver partecipato a riti satanici

Davide Tonelli Galliera è il bambino di Massa Finalese in provincia di Modena che nel 1997 raccontò di aver subito abusi sessuali da parte di familiari. E di aver partecipato a riti satanici in cui erano stati uccisi due bambini. Le sue accuse fecero nascere l’inchiesta sui Diavoli della bassa modenese. Molti anni dopo ha rivelato che le sue erano tutte bugie estorte da psicologi e assistenti sociali. Eppure all’epoca molte persone finirono in prigione e una delle madri coinvolte si suicidò. Il suo nome è noto dal 2021. All’epoca, per preservarlo, veniva chiamato il Bambino Zero. Oggi ha 35 anni e ha scritto un libro sulla sua storia, Io, bambino zero (Vallardi).

Quel bambino

Quel bambino, dice Davide a Repubblica, «ancora grida dentro e si fa domande. È devastato dai sensi di colpa, è diventato grande per scoprire che a causa delle sue parole, estorte a lui e ad altri bambini come lui, sono morte delle persone e altre hanno sofferto l’inferno, me compreso». Ha deciso di scrivere il libro «per liberarmi dal peso, ma scrivendo ho rivissuto tutto: le ferite sono ancora aperte». All’epoca, dice, «ero piccolo e suggestionato. Avevo terrore della psicologa che mi interrogava con gli occhi spiritati: con me era cattiva, gridava, si arrabbiava, e poi diventava buona quando c’erano altri adulti. Credo abbiano costruito questa menzogna per togliermi alla mia mamma naturale, di cui la mia seconda mamma era molto gelosa».

La verità

Dice di aver saputo la verità dagli atti del processo «soltanto quattro anni fa. Lessi quelle carte e mi sembrò di impazzire. Chiesi un ricovero psichiatrico volontario, ero sicuro che non ne sarei uscito mai più». Gli abusi «erano fatti mai accaduti ma estorti: non posso avere memoria di ciò che non ho vissuto. Provo emozioni confuse, non sono neppure sicuro che fossi cosciente quando dicevo quelle cose. Ricordo solo la paura che avevo dei grandi, della psicologa, dei giudici e della mia mamma affidataria, che quella psicologa conosceva già da prima. Mi ripetevano: parla, non devi vergognarti». Dice che la psicologa con lui «era ossessionata, voleva che raccontassi per forza certe cose».

I genitori

Dei genitori ricorda «tutto. Anche com’erano vestiti il giorno in cui mi strapparono da loro. Ricordo il trambusto e il panico allucinante. Ricordo le loro voci e i loro volti, e quelli dei miei due fratelli con cui ora mi sento, ogni tanto ci vediamo: non ce l’hanno con me. Mamma era buonissima, sempre allegra. Eravamo poveri ma contenti». Poi, racconta, «Mi portarono dalle suore: anche loro mi facevano parlare male dei miei. E il mio nuovo fratello alzava le mani, però non lo giudico».

Quelli adottivi invece non li sente più da 4 anni: «Mia madre affidataria mi ripeteva che se una donna si era buttata dal quinto piano, allora doveva essere per forza colpevole. Invece, era perché le avevano tolto la bambina. Non so come ho fatto a non uccidermi anch’io. Forse, sarei potuto diventare un mostro, un serial killer». Il suo maggiore rimpianto è «che la mia vera mamma sia morta nel 2009 senza avermi più rivisto. Il mio papà la seguì poco dopo».

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