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Dazi, cosa c’è dietro l’accordo tra Cina e Usa: «Vi spiego perché Donald Trump si è arreso»

13 Maggio 2025 - 05:08 Alessandro D’Amato
donald trump xi jinping guerra dazi cina usa
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La sospensione per 90 giorni delle tariffe è la base per un accordo più ampio. Ma Xi non si è piegato. E Washington non ha avuto nulla. Per questo adesso l'Europa deve tenere duro. Mentre i mercati hanno piegato la Casa Bianca

Donald Trump si è arreso alla Cina. Xi Jinping non si è piegato e gli Stati Uniti non hanno ottenuto nulla. E ora l’Europa deve tenere duro. Ma il problema sono gli Usa. Kenneth Rogoff di Harvard, ex capoeconomista del Fmi, autore di L’impero del dollaro (Egea), con il Corriere della Sera spiega oggi la tregua tra Washington e Pechino. Ovvero la sospensione per 90 giorni della maggior parte dei dazi per trovare un accordo più ampio. Il tycoon ha festeggiato e ha detto che l’Europa è «più cattiva» della Cina sul fronte commerciale. Ma la verità è che la grande guerra dei dazi annunciata come la “liberazione” dell’America (dal deficit commerciale) per ora non ha portato risultati. E il presidente già rischia.

Dazi, l’accordo tra Cina e Usa

L’accordo che ha fatto festeggiare le Borse al termine di 48 intense ore di trattative a Ginevra prevede che gli Stati Uniti e la Cina taglino le loro tariffe reciproche del 115%, riducendo in modo significativo l’embargo che di fatto si erano imposte. Gli Stati Uniti porteranno a partire da mercoledì quelle sul made in China al 30% dal 145% attuale, mentre la Cina le porterà al 10% dal 125%. «Una vittoria per gli Stati Uniti», ha detto Trump che ha annunciato un colloquio con Xi prima del viaggio in Medio Oriente. I dazi su auto, acciaio e alluminio restano in vigore e la Cina si è impegnata a fermare il fentanyl. Ma l’accordo non rimuove l’incertezza. A oggi la rimanda di 90 giorni. E al termine dei tre mesi le trattative potrebbero comunque saltare. Una tregua temporanea, che di per sé non mette fine alla guerra commerciale.

Le concessioni

Anche perché al di là dei proclami, gli Stati Uniti non hanno spuntato concessioni dalla Cina. Anzi l’accordo appare, secondo i critici, come una resa di Trump. Il presidente – a loro avviso – è stato costretto a cedere alle pressioni dei mercati e allo spettro di scaffali vuoti aleggiato da molte grandi aziende. E oggi il mondo ha un segnale chiaro da valutare: tutti gli aspetti delle politiche del presidente sono negoziabili.

«Be’, l’amministrazione di Donald Trump fondamentalmente ha capitolato. Non ha ottenuto nulla. Trump, visto dai mercati, cerca un modo di ritirarsi dalle stupide politiche che aveva messo in atto. Per gli Stati Uniti è positivo: le probabilità di recessione calano ed è buono per il dollaro. Ma il valore del biglietto verde è ancora molto alto ed è probabile che scenda. Mi sorprenderebbe se non vedessimo 1,20 o magari anche 1,30 sull’euro. Altre volte in passato il dollaro è già stato sopravvalutato, ora l’amministrazione Trump ne ha accelerato il declino», spiega oggi Rogoff al Corriere.

L’euro e il dollaro

Nel colloquio con Federico Fubini Rogoff nota che ora tutto si sposterà sulla valuta: «I cinesi non hanno bisogno di farsi dire due volte che devono allontanarsi dalla valuta americana. Gli europei ora sono costretti a militarizzarsi, il che è probabilmente il punto di maggiore debolezza dell’euro come valuta internazionale. Trump accelera queste tendenze, che erano già in atto. Kamala Harris magari avrebbe ottenuto lo stesso risultato in modo diverso. Penso fosse una candidata molto debole».

Trump ha capitolato con Pechino perché «è pragmatico. Quando qualcosa non va, cerca una via d’uscita. L’ha fatto nel primo mandato e ora di nuovo. Il problema ora, visto dall’Europa, è che non ci si può fidare. Con il Canada e il Messico era stato lui a concludere un accordo quattro anni fa e ora lo ha fatto saltare. Ma non penso il problema sia solo Trump, sono gli Stati Uniti. Lo abbiamo eletto e possiamo eleggerne un altro. Questa arroganza è molto americana, non andrà via».

Il favoritismo al potere

Secondo l’economista il vento negli Usa è cambiato: «Con il modello di governo forte e del favoritismo al potere, non sei più sicuro. Non sai se sarai tassato o penalizzato in modo speciale perché sei italiano o altro. Questa incertezza mina alla base una delle grandi forze degli Stati Uniti». E Rogoff pronostica anche una crescita dei rendimenti dei titoli del Tesoro americano: «Quelli a dieci anni sono attorno al 4,4%, ma penso che nei prossimi anni sia più probabile vederli al 5% o al 6% che al 3% o al 3,5%». Quando? «Nel mio libro scrivo fra cinque o sette anni, ma ora credo due. Avverrà con Trump alla Casa Bianca. Vedremo inflazione, repressione finanziaria. Non è difficile immaginare che Trump cercherà di controllare i prezzi o i flussi di capitali. E le persone che credono che l’indipendenza della Federal Reserve sia protetta dalla Costituzione potrebbero doversi ricredere».

L’Europa

Infine, Rogoff consiglia all’Europa «Di mantenere la calma e non inchinarsi a Trump. Lui rispetta la forza. È come uno scacchista da caffè, bravo e aggressivo contro i deboli. Ma gli avversari forti che sanno difendersi e colpire contro di lui vincono. La Cina non si è piegata e dalla Cina non ha ottenuto nulla. Anche dall’Europa otterrà poco».