Gaza, l’artista che dipinge l’assenza di aiuti umanitari: «Così le scatole vuote diventano tele: l’arte è la mia unica libertà» – L’intervista


Tra le macerie delle abitazioni rase al suolo, le tende dei palestinesi sfollati e l’eco incessante dei raid aerei, Hussain Aljrjawy continua a disegnare. Ha 18 anni, vive nel nord di Gaza dove negli ultimi giorni le forze israeliane hanno intensificato i bombardamenti, ed è uno dei tanti artisti dell’enclave palestinese. Più volte costretto ad abbandonare la sua casa, Hussain ha dovuto interrompere gli studi universitari a causa del conflitto. «Anche mentre parlo l’esercito di Israele ha appena pubblicato una nuova mappa di evacuazione per le aree vicine a noi e, naturalmente, non c’è più nessun posto dove poter fuggire. Quindi, sia io che i miei amici e parenti, non lasceremo i nostri luoghi», dice a Open. L’arte è la sua «unica libertà», non è soltanto espressione: è resistenza e denuncia, forse memoria. Sebbene nei territori della Striscia ormai manchi tutto, compresi pennelli, matite, tele e tempere, gli artisti non si sono arresi alla distruzione. Così, i sacchi degli alimenti diventano supporti improvvisati, le scatole vuote degli aiuti umanitari, che non entrano a Gaza da ormai troppo tempo a causa del blocco totale imposto da Benjamin Netanyahu, si fanno volti e scene quotidiane.
Una creatività che resiste nel mezzo di una crisi umanitaria senza precedenti. A confermare la gravità della situazione è anche l’ultimo rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), diffuso nei giorni scorsi: secondo i dati, circa 470 mila persone nella Striscia stanno affrontando livelli estremi di fame, mentre l’intera popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare acuta. Per l’organizzazione mondiale della sanità (Oms), 57 persone, per lo più bambini, sono già morte di fame dal 2 marzo, giorno in cui è iniziato il blocco degli aiuti da parte del governo israeliano. Da settimane le agenzie umanitarie avvertono di una carenza critica di tutto, dal cibo all’acqua pulita, dal carburante ai medicinali. Tanto da spingere l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, a parlare di «una spinta verso un cambiamento demografico permanente a Gaza, che viola il diritto internazionale ed equivale a una pulizia etnica».
«Gaza ha fame»

In questo tragico scenario, gli artisti palestinesi continuano a fare arte. Le loro opere «sono interamente dedicate al racconto della guerra»: storie di uomini, donne e bambini sfollati che patiscono la fame e la distruzione, famiglie che piangono per la perdite dei propri cari. «Non c’è uno sfogo che ci permette di disegnare altro. Non esiste una vita normale da rappresentare», ci dice. «I miei dipinti parlano di me, di due milioni di gazawi e della realtà che viviamo: è dolorosa, ma è vera e reale. La mia presenza qui a Gaza, in queste circostanze – prosegue -, mi spinge a disegnare di più e a condividere i miei dipinti perché è il modo con cui posso comunicare. È vero, è difficile, e ho perso amici artisti a causa di questa guerra, e ovviamente ho paura per la mia vita, ma continuo a disegnare perché l’arte è la mia unica libertà». L’ultimo dipinto si chiama Voices of Hunger: Gaza is Starving (Gaza ha fame, ndr). Mostra una famiglia palestinese seduta in silenziosa attesa di un pasto. «L’arte è ciò che vedo e che provo», spiega l’autore. «È il modo in cui analizzo e percepisco le cose che mi circondano: se sono stato sfollato, troverai che tutto ciò che disegno parla di sfollamento. Se bombardano vicino a me, mi troverai a disegnare su quello. Quindi il disegno sono io — sono le mie emozioni, è ciò che attraverso e che vivo».

La distruzione culturale
Numerosi artisti di Gaza sono alla ricerca di uno spazio dove esporre le proprie opere. I bombardamenti hanno, infatti, devastato gran parte del patrimonio culturale della Striscia, cancellando luoghi d’arte e memoria. Nel febbraio di quest’anno, il ministero palestinese del Turismo e delle Antichità, citato dal team EAMENA dell’Università di Oxford, ha reso pubblico un rapporto dettagliato sull’entità dei danni inflitti ai beni culturali. Il documento evidenzia come 316 siti storici siano stati esaminati, e almeno 138 risultino gravemente danneggiati, molti dei quali completamente distrutti. Secondo quanto riportato, il 71% di questi danni è attribuibile a bombardamenti aerei e attacchi dell’esercito israeliano, aggravati poi da demolizioni operate con bulldozer e incursioni di mezzi corazzati. I raid hanno colpito duramente il tessuto culturale del territorio: decine di centri, musei, opere artistiche e manufatti, tra cui dipinti, ceramiche e manoscritti sono stati demoliti o rovinati, e oltre 50 artisti sono stati uccisi negli attacchi. Una ferita profonda che non riguarda soltanto la perdita materiale, ma colpisce le fondamenta stesse della memoria collettiva e della continuità culturale di Gaza. E, forse, anche per questo Hussein vuole lasciare l’enclave per «continuare gli studi, far viaggiare i dipinti per il mondo, organizzare mostre e poter essere presente alle esposizioni», ci confida. La sua arte, come quella di tutti gli artisti palestinesi, è una forma di resistenza che supera i confini. In un mondo che troppo spesso volta lo sguardo altrove, queste opere ci obbligano a fermarci, a guardare in faccia la realtà, a interrogarci su ciò che accade. E, soprattutto, a non restare indifferenti.


Foto copertina: Hussain aljrjawy | Hussain disegna sui cartoni vuoti degli aiuti umanitari