L’attrice Francesca Inaudi è diventata una Doula: «Così aiuto le donne durante il parto»


L’attrice Francesca Inaudi è diventata una Doula. Cioè «una figura non medica riconosciuta per legge che accompagna con un supporto emotivo, pratico, fisico, di cura e incoraggiamento la donna nella gravidanza, nel travaglio e dopo il parto. E si dedica totalmente a lei, e al partner. È quella a cui chiedere tutto quello che avresti voluto sapere sulla maternità e non hai mai avuto il coraggio o la voglia di domandare a mamma, a una sorella, a un’amica. Una persona neutra che non giudica, non sceglie al tuo posto, ma ti guida senza farti sentire in colpa o sbagliata». In un’intervista rilasciata a Viola Giannoli per Repubblica dice che ha deciso di farlo dopo la sua gravidanza.
La gravidanza
Inaudi è rimasta incinta a 42 anni. E nell’occasione del parto di doula «vorrei tanto averne avuta una. Invece per ignoranza, perché come sempre pensavo “faccio da sola” ho rinunciato. Ma la mia gravidanza, il mio parto mi hanno portato qui, a provare a mettermi al servizio di altre donne». Il parto è stato un trauma: «Alla 37esima settimana mio figlio era podalico, ero in America, mi hanno terrorizzato, hanno fatto manovre, agopuntura, esercizi a testa in giù. Il cordone ombelicale si è attorcigliato al collo, mio figlio ha perso il battito, mi hanno lanciata in sala operatoria per un cesareo d’urgenza, ho fatto in tempo a pensare “ci vediamo dall’altra parte”, lui è uscito blu. Ora ha 5 anni, sta benissimo, ma io mi sono addormentata nel momento più brutto della mia vita e mi sono risvegliata nel più bello. Ne ho sofferto anche nel post parto, per settimane ho sognato di morire annegata».
I lati oscuri della maternità
Secondo Inaudi ci sono molti lati oscuri nella maternità, ma nessuno ha il coraggio di parlarne: «C’è una narrazione che ci vuole sorridenti, eroine o martiri, a dire che tutto è stupendo. Invece possono esserci momenti mostruosi e questo nulla leva alla perfezione di una rivoluzione come la maternità. Ma esistono le ragadi, gli ingorghi, le posizioni innaturali in cui ci mettono, le pressioni psicologiche e le cicatrici. La mia la chiamo “il mio sorriso” perché da lì è spuntato mio figlio . Ma mi è mancata tanta informazione, educazione, consapevolezza». E rivela: «Sono andata nel panico all’inizio dell’allattamento eppure ero determinatissima. I momenti più duri sono stati quelli in cui sentivo la mancanza di una persona che mi spiegasse, mi sostenesse, mi dicesse “ci sono passata”, che facesse capire al mio compagno che quel che vivevo era reale».
Un club delle mamme
Per questo ha cominciato a pensare a un aiuto alle altre madri: «All’inizio pensavo a un sito dove una donna incinta potesse trovare testimonianze di altre donne che la facessero sentire capita, accolta. Ora cerco un posto fisico per creare un “club delle mamme” tutt’altro che elitario dove incontrarsi, bere una tisana, trovare professionisti, raccontarsi. Un luogo di condivisione più che di apprendimento senza cattedre né giudizi. Per me è un atto politico». Perché «credo che dobbiamo riprendere il controllo del nostro corpo, il potere di scelta, smettere di rimuovere, di negare, reclamare un ruolo per quel che siamo e non vestendo panni maschili, vivere la gravidanza e la nascita come un momento straordinario e devastante, splendido e terrificante, comunque trasformativo in cui al centro ci siamo noi donne».