Gli stornelli romani di Ketama126: «La trap mi ha rotto le palle» – L’intervista


«Partiamo dal fatto che il disco si chiama 33, come gli anni di Cristo, questa è già una metafora per quanto riguarda la morte e il cambiamento». Il cambiamento in questione è quello di Ketama126, 33 anni, uno dei più seguiti trapper della scuola romana, che con il nuovo album, uscito venerdì 23 maggio, sposta il focus della sua musica, come già anticipato dai singoli La caciara e 33. La nuova frontiera è il new folk romanesco, la tradizione, lo stornello, che concede a Piero Baldini – così all’anagrafe – un nuovo ventaglio di possibilità espressive.
Hai definito questo come tempo di morte e di rinascita. In che senso?
«Non ha a che fare solo con la religione, penso che nella vita di tutti gli uomini arriva un momento in cui si fanno i conti con sé stessi, con il proprio passato, con quello che è stato fatto, e si acquisisce maggiore consapevolezza. Nel mio caso questo momento è arrivato a 33 anni. È una roba quasi chimica: penso che più o meno a 33 anni, chimicamente, a tutti gli uomini succeda questa cosa».
Quindi l’evidente rivoluzione che il pubblico noterà ascoltando questo nuovo disco è il riflesso di un cambiamento personale, ancora prima che artistico?
«Sì, è proprio di un’esigenza personale, perché tutto quello che faccio nella musica rispecchia quello che faccio nella mia vita privata. La trap, che è quello che facevo, non è solo una musica: è uno stile di vita che vivevo, quindi poi mi veniva naturale fare quel tipo di musica. Ora col tempo, la maturità, mi è passata la voglia».
Quindi anche una visione nuova della vita?
«A me piace vivere bene, mi piace il buon cibo, mi piacciono le belle donne, le belle macchine. Il disagio non mi piace più. Grazie al cielo posso uscire dal disagio grazie alla mia musica».
Una musica più adulta e complessa.
«Ho sempre voluto fare musica con veri musicisti, solo che prima non ne avevo la possibilità: non avevo i mezzi, non avevo il tempo, non avevo la testa»
Questo album che segna la tua svolta esce in un momento in cui tra gli addetti ai lavori si vocifera dell’esplosione della bolla trap…Tu senti che la trap abbia fatto il suo tempo?
«Nel 2015-2016, quando ho iniziato a fare trap, la cosa bella di quel genere è che era in continua evoluzione. Ogni giorno scoprivi un’influenza diversa, usciva un altro tipo di suono mischiato con la trap, un artista diverso. Insomma era veramente una roba figa che sembrava la musica del futuro, fuori da qualsiasi schema e da qualsiasi regola. Oggi come oggi invece quello che noto è che la trap è forse uno dei generi musicali più canonizzati di tutti: ci devi mettere l’autotune con la chiave intonata, 16 battute di strofa, 4 battute d’intro e il ritornello. Questa roba qua a me aveva rotto veramente le palle, era diventato tutto molto prevedibile, un compitino. In più esce con una tale velocità, ormai non riesco più a stare appresso a questi ritmi».
Quando un artista che opera con sonorità urban si distacca un po’ dal proprio territorio solitamente finisce nel pop, nel cantautorato. Tu invece sei passato al folk romanesco…
«Sicuramente è una scelta che fanno in pochi, però mi è apparsa la scelta più naturale venendo dalla trap. Se senti gli stornelli di Gabriella Ferri, Lando Fiorini o Claudio Villa in cui si insultano, è il corrispettivo dei rapper che oggi si fanno i dissing. Quindi in questo senso mi è venuto veramente naturale, dal punto di vista degli argomenti, dell’attitudine»
Non hai paura di questa deviazione?
«Vorrei far capire ai pischelli che non è che – visto che in Italia quelli che fanno questa roba sono sempre state persone un po’ anziane – allora non si può fare. Con un gruppo di chitarristi si possono dire le stesse cose che si dicono con la trap»
Quando hai sentito Tony Effe a Sanremo cantare Damme ‘na mano, cosa hai pensato?
«Magari non è stata nemmeno una sua idea. Se lo fosse stata, probabilmente si sarebbe esibito molto meglio. Si vede che l’hanno imboccato su quello che doveva fare. Infatti ha detto che adesso si rimetterà a fare trap, evidentemente ha capito che è più adatto alla sua persona. Però è un bel pezzo, scritto bene, suona bene, è piacevole da ascoltare. L’esibizione dal vivo è stata quella che è stata, si commenta da sola»
Come pensi possa essere ricevuto questo disco dal pubblico?
«Viviamo periodi difficili che richiedono cose semplici, e questo disco è nato dalla voglia di fare della musica insieme ad altra gente, musica che puoi cantare chitarra e voce dopo esserti bevuto un litro in osteria. Penso che purtroppo queste cose stanno diventando sempre più rare, ma che quando uno poi le trova, fa bene al cuore. Aver fatto un disco totalmente suonato da musicisti veri per me ha un significato quasi politico»
Hai avuto feedback da colleghi musicisti?
«Mi sono accorto che anche chi fa trap, di quella fatta con lo stampino, si è rotto il cazzo. Ormai non è che la fanno perché a loro piace, ma perché devono portare la pagnotta a casa. Quando gli faccio sentire queste robe gli si illuminano gli occhi, perché sono ragazzi che vogliono fare musica. Poi quello che conoscono è la trap, con i mezzi che hanno possono fare la trap. Anche per questo ho fatto un disco del genere, per creare un precedente e far capire ai pischelli che possono fare i soldi anche facendo roba bella, non è che devi fare per forza la merda»