Perché i genitori che hanno visto morire il figlio per un tumore sono indagati: «Hanno ritardato la chemioterapia»


I due genitori indagati a Vicenza con l’accusa di omicidio volontario hanno ritardato l’inizio dei cicli di chemioterapia per il figlio di 13 anni. La coppia di 50enni è finita sotto inchiesta dopo la morte del ragazzo all’inizio del 2024 nell’ospedale San Bortolo. Il pubblico ministero Paolo Fietta ha inviato pochi giorni fa l’avviso di conclusione indagini. I cicli di chemioterapia erano stati prescritti dai sanitari.
Due o tre mesi
I servizi sociali hanno segnalato il caso all’autorità giudiziaria. L’inchiesta è iniziata quando l’adolescente era ancora vivo. I genitori avevano fornito agli inquirenti la cartella clinica del ragazzo ed erano stati interrogati. La procura ha poi nominato un consulente che ha visitato il 13enne. Evidenziando nella sua relazione una serie di omissioni che avrebbero ritardato l’inizio delle terapia. Provocando la morte del giovane in poco tempo. La difesa degli avvocati Lino e Jacopo Roetta sostiene che non sia vero: «È stato lo stesso consulente a sostenere che il ragazzino sarebbe potuto vivere solo altri due o tre mesi in più rispetto alla data del decesso, ma la sua sorte era già segnata, non c’era possibilità di cura del tumore».
Omicidio volontario
Secondo i legai contestare l’omicidio volontario è «un’enormità, ma quando mai un genitore vuole la morte del proprio figlio? Fino all’ultimo giorno il padre e la madre hanno sperato che si salvasse. Gli hanno fatto fare tutte le visite possibili e immaginabili». Il ragazzino aveva cominciato ad avvertire i sintomi nella primavera del 2023. Dopo i consulti con gli specialisti la terapia non inizia. La prima denuncia finisce a Vicenza. Il pubblico ministero apre un fascicolo e, mentre il ragazzino è ancora in vita, nomina un consulente che visita il tredicenne. A un anno dalla diagnosi e a un paio di settimane dagli accertamenti il bambino muore.