Andrea Carnevale, la schizofrenia del padre e il femminicidio della madre: «La scia di sangue non si ferma più»


Andrea Carnevale, ex calciatore tra l’altro di Napoli e Roma, oggi è un dirigente dell’Udinese. Ha scritto Il destino di un bomber, insieme a Giuseppe Sansonna. Per raccontare la storia che gli ha segnato la vita. Quella del femminicidio di sua madre da parte di suo padre. All’epoca lui aveva 14 anni. Oggi, dice, «incontro gli orfani di femminicidio e i loro familiari. Ho raccontato e scritto per loro. Non si ferma la scia di sangue, e io ogni volta torno quel bambino infelice». All’epoca incontrò suo padre in carcere: «Ci sono andato a 16 anni, due anni dopo il delitto. Volevo guardarlo negli occhi, mi aveva tolto tutto. Ebbene, l’ho visto e l’ho abbracciato. Forte. In qualche modo l’ho perdonato, con la consapevolezza di avere di fronte un uomo molto malato.
La schizofrenia
«Per tanti anni ho vissuto il dolore ma anche il timore di essere come lui. No, non sono lui. Questo ho capito quando l’ho visto. Ed è stato il primo passo verso la liberazione», prosegue. Il padre «era schizofrenico. Non è stato mai curato, qualche anno dopo si è tolto la vita lanciandosi da una finestra davanti ai miei occhi». Non è l’unico dolore della sua vita. Un altro riguarda la fine del suo matrimonio con Paola Perego: «Per 20 anni i miei figli hanno pensato che fossi andato via di casa, che li avessi abbandonati. Io orfano che lasciavo orfani i miei figli. Capisce? Terribile, come rivivere il mio dramma. Mi sono preso colpe che non avevo, aggrappandomi a un solo raggio di luce: la fiducia nella giustizia. La verità viene fuori, mi dicevo. E il tempo mi è stato amico. Di stupidaggini ne ho fatte tante, per carità», spiega a Monica Scozzafava sul Corriere della Sera.
La violenza sulle donne
Sulla violenza sulle donne ha un consiglio da dare: «La prima volta che marito o fidanzato che sia alza le mani o urla, lasciatelo. Lo rifarà, è certo. Denunciate. Io l’ho fatto all’epoca ma non è servito. Oggi sono testimonial del Telefono Donna, collaboro con le istituzioni, voglio essere in prima linea. La morte di Martina, uccisa a 14 anni ad Afragola, mi ha fatto rivivere Andrea da piccolo. Una ferita che ogni volta torna a sanguinare. Denunciate, dico. Mia madre non lo fece per paura che facessero qualcosa ai suoi figli». Lui dai carabinieri ci andava: «Tante volte. Papà era molto geloso, a casa c’era un clima di terrore, io ero lì quando lei prendeva schiaffi, botte. Insulti. Fino a quella mattina del 25 settembre del 1975: lui si è svegliato, ha preso l’ascia. Ha raggiunto mamma che stava lavando i panni nel fiume vicino casa. È andato ad ammazzarla. Sono corso lì, ho raccolto il sangue di mia madre, sono andato dai carabinieri: “Lo vedete adesso il sangue?”».
Paola Perego
Poi spiega la fine del suo matrimonio: «C’era un’altra persona. L’amore era finito, mi sono ostinato a continuare per i bambini. Non volevo crescessero come orfani. Un papà deve provare e riprovare, assumersi le responsabilità. Ho rispettato Paola ma mi sono sentito io non rispettato, troppe bugie». Quindi racconta del doping che lo portò a una squalifica nel 1990: «Fu colpa mia. Ero alla Roma. Fui squalificato per assunzione di uno stimolante, la fentermina, presente nel Lipopill che assumevo per perdere peso. Fuori un anno». Poi l’arresto per droga: «Una telefonata che non dovevo fare, un millantatore che mi accusò. Va bene tutto, ma la droga no! Ho trascorso un mese ai domiciliari, nessuno mi credeva. Anni di processi. Fui assolto».
Giocare per soldi o per passione
Infine, spiega perché giocava a pallone: «Volevo mangiare un panino. Per fame. Quando ero con i dilettanti dicevo: dammi un piatto di gnocchi e un pollo la domenica. Ed ero felice». Poi ne ha guadagnati e spesi tanti: «Sì ma è un attimo ritornare ad avere fame. Serve attenzione. Io sono caduto e ricaduto, un momento prima mi sentivo come dio».