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Garlasco, due armi (e almeno due assassini) per uccidere Chiara Poggi

garlasco chiara poggi omicidio andrea sempio alberto stasi
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La nuova pista di Pavia: l'autopsia del 2007 e le lesioni compatibili con due oggetti contundenti. La ricostruzione della villetta di via Pascoli in 3D suggerisce una nuova dinamica dell'omicidio. E i reperti dell'epoca potrebbero confermarla

Per uccidere Chiara Poggi il 13 agosto 2007 a Garlasco gli assassini hanno usato più di un’arma. E questo dimostra che erano almeno in due. La procura di Pavia segue una nuova pista per dimostrare l’omicidio «in concorso con Alberto Stasi o con altri» che ha contestato ad Andrea Sempio nell’indagine di Fabio Napoleone. E per farlo è tornata a leggere gli atti dell’inchiesta di 18 anni fa. L’autopsia del dottor Marco Ballardini riscontra infatti sul corpo della vittima «ferite da taglio e lesioni compatibili con pugni». Che suggeriscono una ricostruzione differente della scena del crimine rispetto a quella che ha condannato Stasi.

Due armi (e due assassini)

L’arma del delitto non è stata mai trovata. Ma da un cantiere di Garlasco è stata denunciata la scomparsa di un martello «a coda di rondine». All’epoca dell’autopsia, ricorda oggi Il Messaggero, Ballardini scrisse: «Ove non si voglia ipotizzare l’impiego di più strumenti si deve altresì riconoscere che lo strumento in discussione è stato talvolta impiegato in modo non contusivo». In particolare, spiegò il dottore, Chiara aveva lesioni nelle palpebre superiori: «Una per lato, prevalentemente trasverse, che evocano una superficiale violenza con un mezzo dotato di un filo piuttosto tagliente e/o di una punta acuminata che abbia superficialmente strisciato sul tegumento palpebrale». L’insieme delle contusioni e delle ferite non esclude che sia stata usata più di un’arma.

Il corpo contundente

«Il corpo contundente reiteratamente impiegato non sembra ascrivibile a uno strumento usuale di facile identificabilità. Esso, peraltro, sembra dotato delle seguenti caratteristiche: stretta superficie battente; linearità dei margini; presenza di punta impiegabile di per sé», scrisse all’epoca sempre Ballardini. Che immaginò anche dei pugni per spiegare alcune ecchimosi. Secondo la procura di Pavia tutto questo può contribuire a provare la presenza di più persone sulla scena del crimine. Tre, secondo i pubblici ministeri. Almeno due, dicono le prove. La consulenza dei pm ha concluso che «l’impronta 33, evidenziata mediante l’impiego delle ninidrina, è stata lasciata dal palmo destro» dell’indagato «per la corrispondenza di 15 minuzie dattiloscopiche».

Casa Poggi in 3D

Intanto il Racis dei carabinieri lavora sulla ricostruzione di casa Poggi in 3D. Servirà a spiegare le due anomalie sul luogo dell’omicidio. La prima: tre piccole gocce di sangue davanti al divano del soggiorno. Che non combaciano con la dinamica dell’aggressione ricostruita dall’accusa. Ma potrebbero «essere la conseguenza di un pugno sferrato al naso della vittima, che poi scappa verso le altre aree dell’appartamento». La seconda: la configurazione delle macchi di sangue tra il terzo e il quarto gradino delle scale che portano alla cantina. «Considerate le proporzioni complessive» delle tracce ematiche, scrive il Ris, «non si esclude che la vittima (distesa lungo le scale a testa in giù, con il capo adagiato sul quarto gradino) abbia ricevuto un ulteriore e definitivo colpo alla testa».

Le fascette

Oggi arriva ai periti del tribunale lo scatolone con le 58 fascette para adesive usate dal Ris di Parma. E i reperti come il tappetino del bagno con l’impronta dell’assassino. Poi la spazzatura mai analizzata. Infine le impronte di Stasi come quella sul portasapone che l’ha condannato. Secondo la nuova ipotesi investigativa le «numerose impronte papillari sovrapposte» sarebbero state «cancellate». Come le «diverse macchie verosimilmente derivanti da colature di sapone, risultanti dall’utilizzo» dell’oggetto «nel tempo» e al dna di Chiara e della madre.

Poi c’è la traccia sulla porta d’ingresso e l’impronta 33 sul muro. I consulenti «incaricati di svolgere nuovamente gli accertamenti dattiloscopici su tutte le impronte all’epoca dei fatti non attribuite o ritenute “non utili”, in tempi brevi hanno concluso che, alla luce delle nuove potenzialità tecniche a disposizione, sia hardware che software, l’impronta 33 è stata lasciata dal palmo destro di Andrea Sempio».

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