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Cosa sono i certificates proposti dalle banche e convengono davvero ai risparmiatori?

bancario licenziato demansionato maxi risarcimento mezzo milione euro
bancario licenziato demansionato maxi risarcimento mezzo milione euro
Beppe Scienza, ombudsman dei risparmiatori italiani, spiega come funzionano e quali sono i più validi

I certificati o certificates sono titoli di debito con una componente di derivati. Emessi dalle banche, hanno un valore collegato alle attività finanziarie sottosostanti. Che possono essere azioni, indici azionari, tassi di interesse, valute e materie prime. Per i risparmiatori sono una novità rispetto ad azioni e obbligazioni. Possono essere più o meno rischiosi, più o meno complessi. Banche e reti li spingono molto. Oggi, mercoledì 18 giugno è previsto il webinar I certificati convengono ai risparmiatori? organizzato dal professor Beppe Scienza dell’Università di Torino. Open ha posto al professore e ombudsman dei risparmiatori alcune domande sull’argomento.

Questa volta c’è un prodotto bancario su cui lei non spara a zero. I banchieri sono diventati buoni?

«Non mi risulta. Oltretutto i loro comportamenti discendono da convenienze obiettive più che dalla loro volontà. Il punto è che i certificati non rientrano nel risparmio gestito. Sono piuttosto paragonabili alle obbligazioni. Infatti pure fra di esse ne esistono da non scartare, soprattutto fra quelle già in circolazione».

Cosa sono i certificati o certificates, come anche si dice?

«Tecnicamente sono titoli sintetici costruiti inglobando un’obbligazione (a cedola nulla) e una o più opzioni».

Non è molto chiaro, così.

«Concordo, meglio evidenziare per cominciare i loro vantaggi. Essi permettono anche a un piccolo risparmiatore di scommettere su un mercato azionario, per es. la Borsa italiana o Eurostoxx 50 cioè le principali azioni dell’eurozona. Oppure su una singola azione o su materie prime, ma ottenendo quanto investito o poco meno, se siperde la scommessa».

Ma questo è un miracolo?

«Non è la garanzia del capitale a fronte della rinuncia ai dividendi. A proposito: fare attenzione che siano certificati a capitale proprio garantito e non condizionatamente protetto, che non significa nulla».

Nessuno svantaggio?

«Sì invece. Manca ogni protezione dall’inflazione e lo stesso rendimento nominale a scadenza può risultare nullo».

Ma nella sostanza lei consiglia di sottoscrivere i certificati che banche e reti propongono?

«Nient’affatto! Ben di rado quelli proposti in sottoscrizione sono i migliori, anzi di regola sono i peggiori, perché incorporano alti costi di “fabbricazione”. Cioè margini di guadagno per l’emittente e la rete di vendita. Di regola io non guardo neppure le loro caratteristiche: li scarto in blocco. Ci sono invece certificati interessanti fra le centinaia in circolazione».

Come individuarli?

«Purtroppo i certificati sono titoli complessi e a volte anche troppo complicati. Adotterei due regole, forse semplicistiche ma sensate. Primo, comprarne solo con rimborso garantito e prezzo inferiore o poco superiore. Se il rimborso garantito è 100, non ne prenderei uno che quota 110 o più. Secondo, evitare quelli che non si capiscono».

Ma come capirne il funzionamento?

«Ci sarebbe un documento, il Kid, in genere alquanto lungo. Dati sintetici (scadenza, minimo garantito, mercati o titoli cui è indicizzato) si trovano in questo sito fornendo il codice Isin del certificato che interessa».

C’è un problema di tagli minimi?

«Di rado, diversamente che con le obbligazioni dove le migliori spesso richiedono un investimento minimo sui 100.000 o 200.000 euro o dollari».

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