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Il colosso Maersk sospende le operazioni al porto di Haifa. Confindustria: «Così la guerra Israele-Iran può mettere a terra l’economia»

Petrolio
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Dal rapporto del Centro studi di Confindustria l'allarme sulle conseguenze del conflitto, a partire dall'aumento dei costi dell'energia

Il riverbero del nuovo conflitto tra Israele e Iran è già arrivato in Europa. Secondo il rapporto Congiuntura flash di giugno, elaborato dal Centro studi di Confindustria, l’Italia, e non solo, potrebbe essere di fronte a un altro «un altro shock». Nel rapporto degli economisti di viale dell’Astronomia si legge che la nuova crisi rischia di compromettere una ripresa già fragile, a partire dalla brusca inversione del mercato energetico: «L’ennesima guerra rincara l’energia, peggiorando le attese» sintetizza il centro studi. Il peggioramento del quadro geopolitico intanto ha già conseguenze operative dirette. Il colosso danese Maersk, tra i principali operatori globali del trasporto marittimo, ha annunciato la sospensione temporanea degli scali nel porto israeliano di Haifa, citando «rischi per la sicurezza degli equipaggi» legati al conflitto in corso. La decisione, spiegano dalla compagnia, arriva dopo «un’attenta analisi dei rapporti sui rischi relativi al conflitto Israele-Iran». La decisione dell’armatore poterebbe comportare ulteriori rincari dovuti ai possibili ritardi nelle catene di approvvigionamento.

Aumenta il prezzo del petrolio

Una delle prime conseguenze dell’intensificarsi del conflitto tra Israele e Iran ha riguardato il costo del petrolio. Se nei mesi precedenti si era assistito a un abbassamento del costo per barile per via dei dazi, a partire da giugno il trend è stato completamente invertito. Il prezzo del petrolio è schizzato da una media di 63 dollari al barile a maggio a 77 dollari al 20 giugno, mentre il gas europeo (indice Tft) è tornato ad attestarsi sui 40 euro/mwh rispetto ai 34 euro/mwh toccati nei mesi precedenti.

Industria: stabilizzazione fragile

Tra i dati illustrarti nel report si sottolinea come l’industria italiana abbia mostrato segnali positivi a partire dal mese di aprile «L’industria italiana ha tenuto all’inizio del secondo trimestre e gli indicatori sono migliorati per i servizi. Ma, i dazi sull’export e l’incertezza stanno deteriorando la fiducia, brutto segnale per i consumi e gli investimenti». Nello stesso periodo la produzione è cresciuta dell’1% segnando un incremento rispetto allo 0,4% del trimestre precedente: Tuttavia, i rischi da dazi sono alti per il settore e a maggio altri indicatori restano sfavorevoli»: l’indice di fiducia Pmi è infatti di poco in area di contrazione (49,2 da 49,3).

Nei servizi bene il turismo

Complice la bella stagione il settore dei servizi dimostra segnali di ripresa. A farla da padrone è il turismo che registra un più 4,1% nelle spese derivanti da stranieri. Nonostante questo la domanda interna resta fragile: la fiducia dei consumatori è scesa per il terzo mese consecutivo a maggio, e le vendite al dettaglio crescono leggermente, più 0,5% ad aprile. Il comparto auto torna a scendere, segnando un meno 0,1% annuo nelle nuove immatricolazioni.

Attesa frenata negli investimenti e nell’export

Nel primo trimestre gli investimenti hanno sorpreso in positivo con un più 1,6%, spinti da costruzioni, impianti-macchinari e ricerca. Tuttavia, gli indicatori fanno temere una frenata nei prossimi mesi: «gli indicatori sono deboli: a maggio, aumenta poco la fiducia delle imprese, su valori bassi; l’incertezza è elevata; gli ordini di beni strumentali sono negativi; le attese di nuovi ordini calano per il secondo mese». Guardando oltre l’Italia, l’Eurozona appare «in rallentamento, l’incertezza resta elevata e la fiducia ancora stagnante a maggio, su valori bassi. Ad aprile l’industria ha registrato un forte calo di produzione». Ad essere coinvolte tutti i principali mercati europei: Germania -1,9%, Francia -1,4%, Spagna -0,9%.

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