«Hai 12 ore per salvarti, molla Khamenei». Le telefonate del Mossad per spargere il panico tra i generali iraniani


Ora che la guerra tra Israele e Iran pare alle battute finali, colpi di coda o «colpi di testa» a parte, emergono nuovi dettagli sul modo in cui le forze dello Stato ebraico hanno seminato il panico sin dalle prime ore dell’attacco tra i vertici del regime iraniano. Nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno ha sorpreso l’Iran con bombardamenti mirati ma anche colpi di droni e altri armamenti sparati sugli obiettivi prescelti da dentro il territorio “nemico”. Segno che l’infiltrazione del Mossad era profonda e capillare. Ora si scopre che in quelle prime ore convulse, forse anche nei giorni successivi, i servizi israeliani hanno accompagnato i colpi con strumenti di pressione politico-psicologica diretta. Agenti sotto copertura avrebbero raggiunto al telefono vari dirigenti di primo piano di Teheran minacciandoli di morte e «invitandoli» ad abbandonare al proprio destino il regime teocratico guidato da Ali Khamenei. «Ti avverto, hai 12 ore di tempo per scappare con tua moglie e tuo figlio. Altrimenti sei sulla lista», si è sentito dire in perfetto farsi un generale iraniano il 13 giugno, come testimonia l’audio della telefonata ottenuto dal Washington Post. Gli si intimava poi, per aver salva la vita, di girare un video con cui dissociarsi dal governo iraniano.
La scommessa di Netanyahu sul regime change
Come al generale in questione altri messaggi simili venivano «distribuiti» nelle stesse ore a decine di alti ranghi del governo o dell’esercito nemico, nel tentativo di confondere le acque e seminare il panico. Non tutti venivano contatti direttamente. In alcuni casi le telefonate sarebbero arrivate alle mogli. In altri sarebbero stati lasciati messaggi dello stesso tenore sotto la porta di casa. «Capiscono perfettamente così di essere trasparenti e a noi conosciuti, e che la penetrazione della nostra intelligence è del 100%», ha spiegato una fonte israeliana alla testata americana. Disorientamento/panico individuale a parte, l’obiettivo ideale dell’operazione era probabilmente anche più ambizioso: contribuire, insieme ad altre azioni, a creare le condizioni per un collasso del regime di Khamenei. Benjamin Netanyahu, d’altra parte, ha poi detto esplicitamente che il sogno proibito dell’intera operazione Rising Lion era proprio il cambio di regime a Teheran. Donald Trump gli ha dato il fianco nei fatti su tutto – sino ad arrivare a sganciare le devastanti bombe anti-bunker sul sito nucleare di Fordow – ma su quello lo ha bloccato. Anche perché morto un leader bisogna farne un altro, e al momento gli stessi americani e israeliani non vedono un’opzione di «ricambio» al vertice capace realmente di reggere in Iran.
Khamenei alla prova del «dopo-bunker»
Resta il fatto che la guerra-lampo di Israele col sostegno degli Usa ha decimato i ranghi di Teheran e l’Ayatollah Khamenei, se e quando si deciderà a riemergere dal bunker in cui si è sotterrato, dovrà riorganizzare i vertici dello Stato, dell’esercito e delle Guardie rivoluzionarie, tutti colpiti pesantemente – e alla testa – dai bombardamenti dell’ultima dozzina di giorni. Le telefonate minatorie del Mossad miravano anche a far desistere potenziali seconde e terze linee dall’accettare di prendere posti chiave lasciati scoperti dagli alti dirigenti eliminati, ha spiegato ancora una fonte informata al Washington Post. Tutti in Iran ricordano come è andata meno di un anno fa con Hezbollah, i cui comandanti sono stati eliminati in successione uno dopo l’altro. Non è chiaro però fino a che punto la sfida di Israele stia al momento ripagando. Secondo funzionari di sicurezza occidentali sentiti dalla testata Usa, al momento non ci sarebbero indicazioni di vere e proprie defezioni ai vertici dell’esercito o delle Guardie rivoluzionarie di Teheran.
Foto di copertina: Ansa/Epa – Abedin Taherkenareh