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Il Parlamento europeo pronto a far causa ai governi Ue sul piano di riarmo: «Von der Leyen ci taglia fuori da tutto». Cosa succede ora

24 Giugno 2025 - 15:08 Simone Disegni
Roberta Metsola Ursula Von der Leyen Ue
Roberta Metsola Ursula Von der Leyen Ue
Il comitato Affari legali vota a maggioranza bulgara per adire la Corte di Giustizia Ue: nel mirino il regolamento SAFE per concedere 150 miliardi di prestiti bypassando l'Eurocamera

Il Parlamento europeo è pronto a fare causa al Consiglio, l’organo rappresentativo dei 27 Stati membri Ue, per averlo escluso dal processo decisionale sul piano di riarmo predisposto nei mesi scorsi dalla Commissione europea. Lo ha deciso questa mattina il comitato affari legali dell’Europarlamento. Sul tavolo, nel dettaglio, c’era la proposta di portare il Consiglio davanti alla Corte di giustizia Ue per aver adottato a fine maggio la proposta di regolamento SAFE che consente all’Ue di indebitarsi sui mercati per concedere fino a 150 miliardi di euro di prestiti ai governi per spese militari. Il nodo del contendere è lo strumento prescelto, quell’articolo 122 del Trattato Ue che consente all’organo dei governi Ue di adottare decisioni in solitudine, escludendo dal processo il Parlamento europeo in nome di necessità di spesa «eccezionali». Il comitato Affari legali di Strasburgo ha stroncato oggi quella scelta a maggioranza bulgara: 20 sì, nessun no e tre astenuti il risultato del voto a porte chiuse, fanno sapere a Open fonti parlamentari. Una denuncia quasi unanime dunque del tentativo di Commissione e Consiglio di estromettere gli eurodeputati dalle decisioni, e poi dal controllo, sul nuovo programma di indebitamento per il riarmo.

La lettera di Roberta Metsola e la risposta di Von der Leyen

Già nei mesi scorsi d’altra parte era stata forte e compatta la reazione del Parlamento europeo all’idea di Ursula von der Leyen di mettere il piano di riarmo (poi ribattezzato più prudentemente Readiness 2030) su un binario accelerato. A fine aprile lo stesso comitato Affari legali aveva rigettato il piano sostenendo che la base giuridica indicata dalla Commissione – l’articolo 122 – fosse infondata, non essendovi i presupposti per invocare dei «poteri d’emergenza». Ne era seguita una ruvida lettera di proteste della presidente del Parlamento europeo Roberta Mestola a quella della Commissione, con buona pace della comune appartenenza al Ppe. Von der Leyen non sembra essersi spaventata più di tanto: la scorsa settimana ha risposto a quella lettera, facendo sapere agli eurodeputati – per il tramite della loro presidente – di considerare invece la scelta del binario d’emergenza «pienamente giustificata» come risposta a sfide geopolitiche «esistenziali». «Il brutale deterioramento del contesto di sicurezza dell’Unione all’inizio del 2025 è un evento improvviso ed eccezionali che ha un impatto massiccio e potenzialmente devastante sui rifornimenti di beni essenziali per gli interessi di difesa e sicurezza dell’Ue e dei suoi Stati membri», si legge d’altronde già nero su bianco nel regolamento SAFE.

I prestiti Ue «senza controllo» e la battaglia legale

Ora gli eurodeputati dunque hanno deciso di «farla pagare» al Consiglio, che ha formalmente adottato quel provvedimento il 27 maggio. Dopo il voto di stamattina, ora la presidente del Parlamento ha tempo fino al 21 agosto per procedere con la presentazione della causa contro il Consiglio alla Corte di Giustizia Ue. A meno che Roberta Metsola non decida di sottoporre la questione all’intera Aula di Strasburgo per chiedere di ripensare la decisione. Nel caso, il voto dovrebbe essere calendarizzato nell’unica plenaria disponibile in agenda, quella di inizio luglio. Ma la mossa pare al momento improbabile, dicono fonti parlamentari Ue a Open, considerato l’esito «bulgaro» del voto di stamattina nel comitato. Sul piede di guerra ci sono i Socialisti, fulminei nel dar conto della decisione e denunciare come in questo secondo mandato von der Leyen il Parlamento sia ormai trattato «più come un ostacolo che come un partner democratico, con decisioni prese sempre più in circoli ristretti e procedure democratiche considerate come noiose formalità». Ma anche i Popolari azionisti di maggioranza della Commissione hanno evidentemente optato per portare avanti il procedimento legale. Nel frattempo, va ricordato, SAFE sta già prendendo forma: alla scadenza del 30 aprile sono stati ben 16 i Paesi Ue a richiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale dal Patto di stabilità, step formale propedeutico alla richiesta dei prestiti per spese militari: sono Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania,  Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia e Ungheria. L’Italia di Giorgia Meloni, almeno per ora, se ne sta tenendo alla larga.

Foto di copertina: Ansa/EPA/Teresa Suarez – La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola con quella della Commissione Ursula von der Leyen nell’Aula di Strasburgo – 17 settembre 2024

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