Ddl Intelligenza artificiale e il silenzio sul diritto d’autore. L’ira dei doppiatori: «Con questa legge ci rubano la voce»


Procede nel suo iter parlamentare il disegno di legge sull’intelligenza artificiale. Oggi, 25 giugno, l’Aula della Camera ha approvato in seconda lettura con 136 voti favorevoli, 94 contrari e 5 astenuti il primo disegno di legge di delega al Governo in materia di IA. Un testo – dovrebbe arrivare al voto finale tra martedì e mercoledì nell’Aula di Palazzo Madama, in terza lettura – destinato a diventare la cornice normativa di un’intera era tecnologica, ma che lascia sul campo numerosi malumori, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Attori, doppiatori, musicisti e illustratori si sono detti «spiacevolmente stupiti» dall’approvazione del ddl. «Ci abbiamo sperato fino all’ultimo», ripetono. Nel mirino c’è il diritto d’autore, il grande assente del testo: secondo i professionisti, è stato trascurato al punto da mettere a rischio la tutela del lavoro creativo. C’è già chi parla di «saccheggio dell’ingegno, del talento e dell’arte italiana».
L’articolo 25 nella sua forma attuale
Il tema del diritto d’autore è racchiuso nell’articolo 25, forse il più insidioso dell’intero disegno di legge, sul quale l’opposizione si è battuta con insistenza. Nella sua attuale formulazione, il testo precisa che – tramite novelle alla legge n. 633 del 1941 – le opere dell’ingegno protette devono essere «di origine umana». In secondo luogo, si legge che anche le opere create con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale sono protette dal diritto d’autore, «a condizione che la loro creazione derivi dal lavoro intellettuale dell’autore».
Il nodo della questione
Ed è proprio questo il nodo. La norma non fornisce strumenti per impedire che l’intelligenza artificiale riproduca – senza autorizzazione – caratteristiche uniche e identificative di un artista, come lo stile, il timbro vocale, il volto o altri tratti distintivi. Un esempio emblematico è quello delle immagini rielaborate in “stile Miyazaki”, criticate anche dallo stesso regista per lo sfruttamento improprio del suo linguaggio visivo. Situazioni analoghe si verificano anche nel mondo dell’audio, dove applicazioni basate su intelligenza artificiale clonano le voci di attori e doppiatori per creare contenuti personalizzati, come messaggi vocali, spot pubblicitari o dialoghi. In questi casi, non si tratta di opere di origine umana, né frutto di un vero lavoro intellettuale, ma di riproduzioni automatizzate, spesso realizzate senza il consenso degli artisti, che ne restano del tutto all’oscuro.
Anad: «Vogliamo il consenso informato»
«Qui non si parla solo della tutela degli artisti, ma di un intero sistema, di un’eredità culturale da lasciare ai nostri figli. E sembra che non interessi a nessuno». A parlare è Daniele Giuliani, presidente di Anad, l’Associazione nazionale attori e doppiatori. «Noi chiediamo una cosa semplice: il consenso informato». Ovvero, che l’artista sia messo al corrente e dia l’autorizzazione prima che la sua arte venga usata. Era questo uno dei punti esplicitati dai due emendamenti bocciati ieri dalla maggioranza sul diritto d’autore, a firma di Fabrizio Benzoni (Azione) e Andrea Casu (Pd). «È inaccettabile che l’opera di un artista venga utilizzata senza il suo permesso», dicono. «Nel caso dei doppiatori, poi – continua Giuliani – il problema è ancora più grave: ci rubano la voce, che è un dato biometrico, unico e personale. È un vero e proprio furto d’identità. Ma stiamo scherzando?»
«Chiediamo pene più severe»
Gli artisti puntano il dito anche contro un altro nodo cruciale: le sanzioni previste, giudicate del tutto inadeguate. Il disegno di legge (sempre rifacendosi alla legge n. 633 del 1941) considera plagio la copia, anche parziale, di un’opera senza autorizzazione. La sanzione è una multa che va da 51 a 2.065 euro. Il nuovo testo estende queste pene anche ai casi in cui testi o dati vengano copiati da opere online o da banche dati attraverso sistemi di Intelligenza artificiale. «Cifre ridicole per colossi come Google, OpenAi o Amazon. Non sono affatto dissuasive», osservano i professionisti. «Abbiamo chiesto pene più severe nei casi di frode», aggiunge Giuliani. «Se una persona guarda un programma e nessuno le dice che la voce dell’attore che sente è generata da un’intelligenza artificiale, diventa una frode anche per lo spettatore». E poi c’è un altro tema centrale: la remunerazione. «Nessuno ci paga per l’uso improprio della nostra arte», specifica il presidente di Anad.
Perché?
Ora, la grande domanda che si pongono doppiatori, artisti e illustratori è: perché? «Abbiamo partecipato a due audizioni davanti alla Commissione Cultura, e avevamo avuto l’impressione che ci fosse attenzione, volontà di ascoltare e di intervenire – continua Giuliani – Poi, però, è finita così. Non riesco a capire perché ci sia stato questo ripensamento. Vogliamo sapere il motivo. Perché?».
La risoluzione di Mollicone
Di fatto, almeno ad oggi, c’è dunque una lacuna normativa. Questa settimana una risoluzione presentata lo scorso aprile da Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura, prova ad aprire alle istanze dei lavoratori del settore. Il testo ricalca di fatto gli emendamenti bocciati dell’opposizione e chiede, per esempio, «di garantire che tutti i dati relativi a persone o opere non possano essere utilizzati per il training senza l’esplicito consenso informato dei legittimi proprietari». La risoluzione, però, per sua natura, esprime un indirizzo o un giudizio su una determinata questione, senza avere valore normativo. Insomma, un contentino per gli operatori del settore, ma non certo una soluzione.