Pfizergate, Von der Leyen si difende dall’assalto al Parlamento Ue: «Vaccini? Tutto alla luce del sole». E FdI rompe con gli alleati per salvarla – I video
«Sono sempre pronta a confrontarmi in Aula su qualsiasi tema e capisco le vostre esigenze, ma non cederò a una caccia alle streghe animata dagli amici di Vladimir Putin». Non andrà lontano, la mozione di sfiducia portata all’Europarlamento dalle destre estreme contro Ursula von der Leyen. Però l’ha costretta a rompere gli indugi, presentarsi in Aula a Strasburgo in un clima rovente e tirare fuori gli artigli per difendere tutto il suo operato degli ultimi anni: in particolare quello sui contratti per la fornitura di vaccini all’Ue nel drammatico periodo della pandemia da Covid-19. Con una mossa azzardata una pattuglia di europarlamentari di destra capeggiata dal romeno Gheorghe Piperea (del gruppo Ecr, lo stesso di Fratelli d’Italia) è infatti riuscita a far inserire nell’agenda della plenaria dell’Europarlamento di questa settimana una mozione di sfiducia della Commissione guidata da von der Leyen con l’accusa di aver tradito il suo mandato democratico, ma nella legislatura precedente. Il caso è quello dei vaccini Pfizer i cui acquisti (a gennaio 2021 furono aggiudicate 300 milioni di dosi) von der Leyen negoziò in parte con scambi di sms personali con l’Ad della società Usa Albert Bourla. Per il rifiuto di rendere pubblico il contenuto di quei messaggi il New York Times ha portato la Commissione in tribunale, quello Ue, che a maggio scorso ha dato torto all’esecutivo Ue: non avrebbe fornito alcuna ragione tale da giustificare il diniego di rendere pubblici quei messaggi. Di qui l’azione politica da destra per chiedere la sfiducia di von der Leyen e del suo collegio, azzardo che non arrivava in Aula a Strasburgo da decenni.
Von der Leyen respinge ogni accusa sui vaccini
«Sì certo, ero in contatto diretto coi produttori dei vaccini, così come con i migliori scienziati ed epidemiologi, con l’Oms ed altre istituzioni multilaterali», ha rivendicato von der Leyen ricordando la drammaticità di quella fase sociale, con l’Europa travolta dalla pandemia, dalla paura e dai lockdown. «Ma che i contratti che da lì sono derivati fossero inappropriati o contro gli interessi è semplicemente e totalmente falso», ha contrattaccato la presidente della Commissione, secondo cui al contrario di quanto sostenuto da frange politiche e mediatiche di destra «tutto fu fatto in pubblico, i negoziati furono condotti da Commissione e Stati membri insieme e ogni contratto fu esaminato in dettaglio nelle capitali: nessun segreto, nessuna clausola nascosta o speciale per questo o quell’altro Stato. Tutti e 27 i Paesi decisero di comprare vaccini volontariamente e in piena coscienza: dire il contrario è una menzogna». Mentre parla von der Leyen è costretta a interrompersi più volte, tra gli schiamazzi dell’Aula, tanto che a metà della su “requisitoria” deve intervenire la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola. La leader tedesca respinge l’assalto, dunque, facendosi scudo dell’intero Collegio dei Commissari, portato in un sol blocco in Aula. Alla fine però deve concedere agli eurodeputati – a protestare contro il suo stile di governo decisionista, non ultimo sul piano di riarmo, sono diversi altri gruppi dell’emiciclo – che d’ora in poi si renderà più disponibile a «lavorare con il Parlamento europeo», dove si deve intendere sempre, precisa, «con le forze pro-europee e pro-democrazia».
Gli equilibrismi di FdI
È la soglia che von der Leyen ha indicato fin dall’inizio del suo secondo mandato. Traccia la linea della maggioranza Ursula 2.0 che la sostiene in Aula, che però così chiara non è: ne fanno parte strutturale Ppe, Socialisti e liberali, i Verdi solo in parte. Ma il vero nodo è quello dell’Ecr, perché al suo interno – è la traduzione del messaggio di von der Leyen – ci sarebbero gruppi considerati «degni» di far parte della maggioranza perché ormai accreditati come pro-Europa, a partire dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ed altri invece che restano asserragliati su posizioni troppo estreme, anti-democratiche, nostalgiche o filorusse. FdI respinge questa interpretazione, ma oggi si è trovata a dover gestire una patata bollente interna al gruppo. Non poteva permettersi di votare una mozione di sfiducia alla Commissione di von der Leyen con cui Meloni ha ottimi rapporti, e di cui fa parte anche Raffaele Fitto. Ma neanche sbugiardare del tutto l’iniziativa degli alleati romeni. Alla fine in Aula Nicola Procaccini ha provato a cavarsi fuori dall’imbarazzo buttando la palla nel campo avverso: la mozione di sfiducia, ha detto precisando di non parlare a nome di tutto Ecr, è «un errore, un regalo ai nostri avversari politici», anche perché «fallirà e non si avvicinerà neanche lontanamente alla soglia richiesta». FdI, in buona sostanza, voterà contro la mozione di sfiducia per tutelare il prosieguo della navigazione di von der Leyen, nella quale come da tempo annunciato (anche a Open) vuole anzi contare sempre di più «da dentro».
Le proteste del centrosinistra
Dal canto loro, in effetti, Verdi, Socialisti e liberali hanno colto al volo l’occasione di gridare all’inaffidabilità ed estremismo di Ecr, con cui il Ppe di Manfred Weber (e von der Leyen) flirta e vota in Aula un giorno sì e l’altro pure, magari per smontare un pezzo dopo l’altro il Green Deal. «Diteci chiaramente con chi volete costruire l’Europa, con chi la vuole distruggere o con chi sta dalla parte dei suoi valori?», ha chiesto rabbiosa in Aula la leader S&D Iratxe García Pérez agli alleati-avversari del Ppe. Giovedì, quando si voterà sul testo della mozione, von der Leyen si salverà. Ma il clima al Parlamento europeo resta rovente, e non (solo) per effetto delle temperature record delle ultime settimane.