Iervolino: «Film a costi gonfiati? I soldi ce li restituiranno con le scuse»


Andrea Iervolino, classe 1987, ha scalato il mondo del cinema indipendente internazionale fino a lavorare con star come Al Pacino e Johnny Depp. Eppure oggi si trova al centro di un’indagine che ha portato alla revoca di 60 milioni di euro di tax credit alla sua ex società, la “Sipario”. Intervistato da La Stampa, Iervolino non usa mezzi termini per spiegare cosa, secondo lui, sia accaduto: «Nel marzo del 2024 sono entrato in conflitto con la mia ex socia Monika Waldner Gomez Del Campo Bacardi, nota nell’ambiente cinematografico come Lady Bacardi». Dopo le sue dimissioni da amministratore delegato, nel settembre dello stesso anno, «la signora Bacardi mette al mio posto l’avvocato Davide Peretti, italiano che vive in Lussemburgo». Sarebbe proprio quest’ultimo, secondo Iervolino, ad aver innescato il processo che ha portato alla revoca, con l’obiettivo di “portare quella società al fallimento”.
Il nodo del tax credit e l’accusa di costi gonfiati
Il nodo centrale della questione è la validità delle produzioni realizzate e l’utilizzo dei fondi pubblici. Iervolino respinge con decisione le accuse di operazioni irregolari e conti truccati, puntando il dito contro chi — a suo dire — avrebbe manipolato la situazione: «Ci accusano di costi gonfiati? Noi abbiamo a disposizione prove di audit delle più autorevoli società di consulting come la Ernst&Young». I film, precisa, sono animazioni italiane registrate presso la Cineteca Nazionale, e ogni spesa è stata certificata. Le cifre, sostiene, sono ben al di sotto degli standard internazionali: «Johnny Depp ha girato il film Rango che è costato 600mila dollari al minuto e nessuno ha avuto nulla da ridire, mentre i nostri costi… mai sopra i 45mila dollari al minuto». Il ricorso al Tar, spiega, mira proprio a ristabilire questa verità e ottenere la restituzione dei fondi bloccati.
«Vogliono rovinarmi, ma io vado avanti»
Dietro la crisi, per Iervolino, non ci sono ombre legate alla legalità, bensì un puro scontro di potere interno, sfociato in una strategia per distruggere la sua reputazione: «Allo scopo di rovinare la mia immagine e di non farmi più lavorare». E aggiunge: «Il mio buon nome è fonte di credibilità, dunque di lavoro». La questione ha raggiunto anche il Ministero della Cultura, ma secondo il produttore le autorità non avrebbero tenuto conto delle osservazioni dell’amministratore nominato dal tribunale, il professor Paolo Bastia. Un errore, afferma, che sarà corretto: «I milioni di euro ce li ridaranno indietro e con tante scuse». Intanto, Iervolino ha già fondato una nuova società — “The Iervolino Company” — e punta a dimostrare che, dietro la bufera giudiziaria, c’è solo «una ripicca tra soci, ma alcuno l’ha voluto capire».