La morte del 15enne Liam Rézac nella Becca di Viou: «I pericoli ci sono sempre. Il consiglio è fermarsi»


«Si può inciampare in una radice o scivolare per una pozzanghera. Se il sentiero è esposto si può rotolare giù. La maggior parte dei nostri interventi riguardano persone prudenti e ben attrezzate, ma alle quali capita lo stesso di farsi male. Il consiglio è fermarsi». Roberto Bolza, vicepresidente del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico, dopo la morte del 15enne francese Liam Rézac nella zona della Becca di Viou in Val d’Aosta, spiega a Repubblica perché in montagna è sempre meglio fermarsi e aspettare i soccorsi e mai andare avanti se si è in difficoltà.
La morte di Liam Rézac
Liam Rézac era a 2.850 metri di quota. Si era separato dalla famiglia durante una gita. «Vado da solo, voi riposatevi», aveva detto con l’intenzione di raggiungere la cima. E così loro sono scesi e lui ha proseguito. Ha vagato per quattro ore da solo e ha mandato una decina di messaggi. Anche uno in cui diceva: «Mi sono perso, vedo dei sentieri ma penso di potermi orientare e scendere». Il 15enne aveva un’app nel telefono per la geolocalizzazione. Aveva inviato la posizione al padre. Alle 18,30 l’ultimo videomessaggio in cui dice di vedere dei prati e di voler scendere fino al torrente. Poi, secondo la ricostruzione del Soccorso Alpino, è caduto in un canalone di cinquanta metri. Morendo sul colpo a causa dei traumi riportati.
Il bivio perduto
Intorno alle 17 Liam è arrivato al bivio per Becca di Viou, prendendo il percorso sbagliato. Poi ha perso il senso dell’orientamento. Aveva delle scarpe da ginnastica. Ma secondo i soccorritori nella ricostruzione di Repubblica «quello era un sentiero che spesso si percorre anche con quel tipo di calzature, non c’è nessun passaggio alpinistico, era attrezzato adeguatamente per il giro che voleva fare, l’unico errore è stato non fermarsi». Alle 20,30 sono cominciate le ricerche. Il corpo del ragazzo è stato trovato all’alba a circa 2000 metri. Il pm Giovanni Roteglia non dovrebbe disporre l’autopsia in quanto il ragazzo è palesemente scivolato.
I pericoli e i soccorsi
Bolza spiega che la maggior parte degli interventi del Soccorso avvengono lungo percorsi semplici: «Si sbaglia sentiero, ci si perde, non si sa tornare indietro, ci si preoccupa che amici e parenti possano a loro volta preoccuparsi, si cerca una scorciatoia, ci si ritrova magari di fronte a dirupi o in passaggi difficili. In quel caso è meglio sedersi, chiedere aiuto e aspettare». E aggiunge che «se si inizia a provare disagio bisogna fermarsi e ascoltarsi. Sono stanco? Ho problemi fisici? Attorno a me ci sono precipizi o salti che non so affrontare? Provo paura? Se la risposta è sì bisogna lasciar perdere l’orgoglio e chiamare il 112. I soccorsi arriveranno sempre».
Le chiamate inutili
Bolza spiega anche che «soccorrere turisti a tremila metri con le infradito o persone uscite in canottiera e finite inzuppate dalla grandinata lascia un po’ di amaro in bocca. Da decenni ripetiamo che in montagna si va attrezzati, si consulta il meteo e si porta sempre un impermeabile. Ma non ci facciamo problemi se l’emergenza alla fine si rivela irrisoria. Interveniamo in ogni circostanza».
Ed elargisce alcuni consigli per la sicurezza: «Alzarsi presto se il percorso è lungo, consultare il meteo, lasciar detto dove si è diretti e quando si presume di tornare, portare vestiti adatti in caso di temporale e torce se si pensa di poter essere colti dal buio. Caricare i cellulari prima di partire e munirsi di una power bank. Esistono applicazioni per i telefoni che segnalano la posizione agli eventuali soccorritori, quella del soccorso alpino si chiama GeoResQ. In caso di difficoltà, chiamare prima il 112, poi eventualmente la famiglia. Dopo il telefono va lasciato libero».