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«A morte!» Con un Whatsapp decisa la morte di madre e figli uccisi nella strage di Altavilla. La condanna dai due fanatici religiosi

25 Luglio 2025 - 12:31 Alba Romano
altavilla milicia strage giovanni barreca antonella salamone kevin emmanuel miriam
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Negli atti del processo in corso a Palermo si legge il messaggio che Sabrina Fina inviò al compagno, Massimo Carandente, prima che venissero uccisi lAntonella Salamone e i suoi figli Emmanuel e Kevin

Un messaggio di due parole, «A morte!», inviato il 3 febbraio 2024 da Sabrina Fina al compagno Massimo Carandente, segnò, secondo gli inquirenti, l’inizio della tragedia. Pochi giorni dopo, nella villetta di Altavilla Milicia, in provincia di Palermo, iniziava un rituale di violenze e torture culminato, nel giro di pochi giorni, in una delle stragi familiari più atroci della storia recente italiana: le vittime furono Antonella Salamone, 40 anni, e i suoi figli Emmanuel, 5 anni, e Kevin Barreca, 16. Secondo la ricostruzione degli investigatori, Fina e Carandente, due fanatici religiosi nullafacenti, che si presentavano come «fratelli di Dio», si erano stabiliti nella casa della famiglia Barreca, convinti che le tre vittime fossero possedute dal demonio. Insieme a loro, a partecipare attivamente alle torture e agli omicidi, anche Giovanni Barreca, marito e padre delle vittime, e la figlia maggiore, minorenne all’epoca, già condannata a 12 anni e 8 mesi di reclusione.

L’ultimo grido d’aiuto di Antonella Salamone

Il 7 febbraio, una chiamata disperata al 112: «Aiuto, carabinieri, aiuto», aveva gridato Antonella Salamone nel cuore della notte, riuscendo a impugnare un telefono. La chiamata si interruppe bruscamente. I carabinieri tentarono di richiamare senza successo. La telefonata fu archiviata come uno scherzo. L’indomani la donna venne uccisa e il suo corpo bruciato nel giardino di casa. Dopo di lei era toccato al figlio più piccolo, Emmanuel di 5 anni, che dopo atroci torture per «liberarlo dai demoni» era stato ucciso. Stessa sorte anche per il più grande, Kevin di 16, che dopo aver provato a fuggire era stato legato e incaprettato.

Le chat su Messenger e Facebook

Sconcertante anche ciò che emerge dai social: durante i giorni della strage, Carandente inviava aggiornamenti via Messenger e Facebook a un gruppo di seguaci. In uno di questi, annuncia con toni mistici: «Il Signore è pronto a fare il miracolo e a resuscitare il bambino Emmanuel». Parlava di «una legione di demoni», di «Satana e Jezebel», convinto che Antonella fosse all’inferno «perché non ha creduto» e che il piccolo fosse ormai «in paradiso». Agghiaccianti deliri, ma nessuno dei destinatari dei messaggi ha mai denunciato nulla.

Le responsabilità di padre e figlia

Dietro la maschera del fanatismo religioso, secondo gli inquirenti, si nasconde una dinamica settaria e manipolatoria, in cui Fina e Carandente avrebbero soggiogato la famiglia Barreca, portandola all’autodistruzione. Resta da chiarire che ruolo ebbe il padre, che per i periti è stato dichiarato capace di intendere e di volere. La figlia maggiore, ma all’epoca dei fatti minorenne, ha invece testimoniato alla Corte d’Assise di Palermo una settimana fa: «Volevo scappare ma non ho avuto le forze, sono stata bendata. Non dormivo la notte, era troppo potente quello che stava succedendo a casa». Il tribunale dei minori di Palermo l’ha però ritenuta responsabile delle sevizie imposte alla madre e ai fratelli, condannandola a 12 anni e 8 mesi.

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