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La Corte Ue dà torto al governo Meloni sui Cpr in Albania: «I giudici devono poter valutare i Paesi sicuri». L’ira di Chigi: «Sorpresi dalla decisione»

01 Agosto 2025 - 12:25 Alba Romano
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Palazzo Chigi denuncia l’ingerenza giudiziaria che limita l’autonomia del governo, mentre la sentenza blocca l’uso dei centri di rimpatrio in Albania e apre la strada al controllo giurisdizionale nazionale

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sull’Albania, dà torto al governo Meloni, ma palazzo Chigi non ci sta. I magistrati dell’Ue hanno attribuito ai giudici nazionali il potere di valutare singolarmente la designazione dei cosiddetti «Paesi sicuri» di provenienza dei migranti irregolari. Palazzo Chigi, con una nota ufficiale, denuncia una ingerenza eccessiva della giurisdizione europea in ambiti che definisce di esclusiva competenza politica, evidenziando come questa scelta rischi di indebolire le politiche di controllo e rimpatrio finora perseguite dal governo. Dietro questa presa di posizione c’è una vicenda che vede l’Italia contrapposta alla Corte Ue sulla possibilità di utilizzare i Centri di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) in Albania, strutture pensate per ospitare migranti destinati a essere rimpatriati nei Paesi ritenuti sicuri. La sentenza della Corte, accogliendo il ricorso di diversi tribunali italiani, ribadisce che la designazione di un Paese come «sicuro» deve essere soggetta a un controllo giudiziario effettivo e vincola tutte le giurisdizioni nazionali a rispettare tale principio. In particolare, un Paese non può essere considerato sicuro se non garantisce protezione a tutta la sua popolazione, anche a specifiche categorie vulnerabili.

La reazione di palazzo Chigi

Il governo italiano non ha nascosto la sua preoccupazione. La nota ufficiale di Palazzo Chigi sottolinea come «la Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari». In questo modo, secondo Palazzo Chigi, si riducono «ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio». E ancora: «La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali». Il governo, per di più, ha ricordato che questa decisione giunge a pochi mesi dall’entrata in vigore del nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo, che prevede criteri più stringenti e condivisi per la designazione dei Paesi sicuri, frutto del lavoro congiunto della Commissione, del Parlamento e del Consiglio Ue. Nel frattempo, Palazzo Chigi assicura che «per i dieci mesi mancanti al funzionamento del Patto europeo non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini»

Il contesto della sentenza Ue

La Corte di Giustizia Ue si è pronunciata sul ricorso sollevato da vari tribunali italiani — tra cui la Cassazione — dopo che più volte i giudici nazionali avevano annullato le misure di trattenimento dei migranti nei centri di rimpatrio in Albania. Questi tribunali avevano chiesto alla Corte chiarimenti sul concetto stesso di «Paese sicuro» e sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone provenienti da quegli stati. La Corte ha confermato che la designazione di un Paese come «sicuro» deve poter essere oggetto di revisione giudiziaria efficace e che uno Stato membro non può includere in questa lista un Paese che non garantisca la protezione a tutta la popolazione, anche a categorie vulnerabili. La decisione ha effetti immediati: fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento previsto per giugno 2026, gli Stati membri non possono designare come sicuri quei Paesi che non rispettano tali requisiti.

Le conseguenze della sentenza per l’Italia

Il pronunciamento limita quindi l’uso dei Centri di Permanenza per i Rimpatri in Albania, che erano stati pensati dal governo Meloni per ospitare fino a 400 migranti, favorendo un rimpatrio accelerato. Oggi, con la sentenza, i giudici italiani sono autorizzati a bloccare i trattenimenti e i rimpatri se ritengono che le condizioni di sicurezza e protezione nei Paesi indicati come sicuri non siano rispettate. Questo rallenta e complica la gestione della migrazione illegale e lascia vuoti i centri in Albania, destinati a ospitare poche decine di persone invece che centinaia. Nel frattempo, resta aperto il confronto politico e giuridico su uno dei temi più delicati della politica migratoria europea.

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