Federica Pellegrini sul caso della pallavolista licenziata perché incinta: «Trattamento crudele. Servono clausole nei contratti»


Federica Pellegrini non è rimasta in silenzio di fronte al caso di Asja Cogliandro, la pallavolista del Perugia che ha denunciato di essere stata allontanata dalla squadra dopo aver comunicato di essere incinta. L’ex nuotatrice parla chiaro: «Sfrattarla e sospenderle lo stipendio è un trattamento crudele. È rimasta incinta, non si è spaccata il ginocchio con il freestyle sulla neve», ha commentato in una intervista a La Stampa. La questione, esplosa nei giorni scorsi, ha riportato al centro del dibattito il tema delle tutele per le atlete madri, soprattutto in quegli sport – come la pallavolo – dove molte giocatrici non sono considerate professioniste. Il club umbro ha negato qualsiasi licenziamento, parlando anzi di «tutela» e di un accordo economico respinto dalla giocatrice. Ma per Cogliandro, il messaggio è stato chiaro: «Volevano che mi levassi di mezzo», ha detto in un video sul proprio profilo Instagram.
La proposta di Federica Pellegrini: «Le sportive firmino solo contratti con clausole precise»
Pellegrini, oggi nella Hall of Fame degli atleti italiani e impegnata nelle commissioni del Coni e del Cio, non si è limitata alla condanna, ma ha indicato anche una soluzione. «In attesa di tutele, più che dovute, le sportive però devono firmare solo contratti con clausole precise. Come mossa collettiva». Secondo la campionessa, il tema è molto discusso anche a livello internazionale. «Di continuo, lì (nelle commissioni del Coni e del Cio, ndr) possiamo incidere sugli aiuti alle atlete mamme, ascoltare le esigenze, correggere i percorsi. La nursery olimpica, inaugurata a Parigi, va in quel senso, ma sulle leggi hanno giurisdizione i singoli Paesi». E quando entra in gioco il mercato, le cose si complicano. «La mia esperienza personale mi dice che quando si parla di business è davvero difficile trovare sensibilità. Bisogna definire tutto».
«Non aspettiamoci solidarietà»
Pellegrini ha fatto così, anche dopo aver lasciato le competizioni. «Quando ho deciso di provare a restare incinta avevo smesso di nuotare, ma i miei contratti di lavoro dicevano “in caso di”. Dovrebbero esserci garanzie diverse, ma aspettarsi solidarietà non aiuta». Il caso Cogliandro ha peraltro aperto una frattura pubblica. Le versioni della giocatrice e della società non coincidono: lei denuncia di essere stata messa da parte, privata dello stipendio e dell’alloggio, mentre il Perugia risponde parlando di sospensione per «salvaguardia della madre e del nascituro» e di una proposta economica conforme alle norme federali. Un’offerta che, secondo il club, l’atleta avrebbe rifiutato.
L’intervento delle istituzioni
La questione ha già attirato l’attenzione delle istituzioni. Il ministro dello sport Andrea Abodi ha annunciato approfondimenti e ha chiesto di «ripensare le regole» per garantire tutele anche a chi non rientra nel professionismo. «Non è possibile che si viva solo di sussidi pubblici o della generosità dei club», ha detto. Anche la Federazione Italiana Pallavolo è intervenuta. Il presidente Manfredi ha espresso «piena solidarietà» all’atleta e ricordato il fondo «La maternità è di tutti», creato proprio per sostenere le atlete in dolce attesa. «La maternità non può mai essere vista come una colpa», ha ribadito. Ma al di là delle versioni e dei comunicati, resta il fatto che, senza tutele scritte, le atlete rischiano spesso di rimanere sole. «Questa vicenda – suggerisce Pellegrini – deve essere un campanello d’allarme per tutte. Il rispetto non può dipendere dalla buona volontà. Deve stare nero su bianco».