«L’unico modo per fermarlo era ucciderlo», la moglie di Alessandro Venier alla suocera: «Lei l’ha istigata a farlo a pezzi»


È un omicidio freddo, pianificato e brutale quello che la Procura di Udine ha ricostruito nelle ultime ore. Un delitto familiare consumato in casa, a Gemona del Friuli, dove Alessandro Venier, 35 anni, è stato prima sedato, poi ucciso e infine fatto a pezzi dalla madre Lorena e dalla compagna Mailyn. A incastrare le due donne sono le loro stesse confessioni. Secondo i magistrati, Lorena Venier, 61 anni, infermiera all’ospedale di Gemona, avrebbe agito da organizzatrice e co-esecutrice materiale. A istigare il delitto, invece, sarebbe stata Mailyn Castro Monsalvo, trentenne colombiana, compagna della vittima e madre della loro bambina di sei mesi. Entrambe hanno partecipato attivamente al delitto, e secondo la Procura si tratta di un omicidio aggravato dalla premeditazione, dal legame di parentela e dalla presenza in casa della minore.
L’udienza di convalida: «Tutto è iniziato con un farmaco nella limonata»
Le due donne sono comparse ieri, venerdì 1 agosto, davanti al gip per l’udienza di convalida. La versione fornita da Lorena è dettagliata. Ha raccontato che tutto è iniziato con un farmaco sciolto nella limonata, per cercare di tramortirlo. Ma il figlio si è risvegliato. A quel punto gli ha praticato un’iniezione di insulina. Non è bastata nemmeno quella. Le due hanno quindi tentato di soffocarlo, prima a mani nude, poi con i lacci delle scarpe. Dopo la morte, il corpo è stato sezionato in tre parti e nascosto in un bidone coperto di calce viva, acquistata online giorni prima. Un dettaglio che secondo gli inquirenti conferma la premeditazione.
Il ritorno sul luogo di lavoro dopo il delitto
Lorena è poi tornata al lavoro come se nulla fosse, senza saltare nemmeno un turno all’ospedale. Per cinque giorni ha portato avanti la sua routine quotidiana. Solo giovedì scorso, 28 luglio, sei giorni dopo il delitto, è arrivata la telefonata al 112. A chiamare è stata proprio Mailyn. Ripassando accanto al bidone, non ce l’ha fatta più. Il movente è ancora da chiarire, nonostante Lorena abbia detto di aver agito «per salvare Mailyn», spiegando che la compagna del figlio era in pericolo, vittima di continue violenze. «Non potevamo più aspettare», ha detto al giudice. Avevano anche paura per la bambina. Non di violenze dirette su di lei – ha precisato – ma della tensione costante in casa.
Il progetto di trasferirsi in Colombia
Secondo il racconto della madre, Alessandro stava preparando il trasferimento in Colombia con la compagna e la figlia. Un viaggio che per Mailyn, secondo Lorena, significava rischio e pericolo. Da qui, la decisione. Una frase pronunciata dalla trentenne avrebbe dato il via alla spirale: «L’unico modo per fermarlo è ucciderlo». È proprio questa frase a fondare l’accusa di istigazione. Mailyn è ritenuta la mente del gesto. Lorena, invece, l’esecutrice più esperta, che ha pianificato i dettagli e usato le sue competenze infermieristiche per portare a termine il piano.
Richiesti per la madre gli arresti domiciliari
Durante l’interrogatorio, Lorena ha chiesto solo della nipotina. Gli inquirenti vogliono capire fino a che punto la dinamica familiare abbia contribuito a spingere le due donne verso l’omicidio. L’avvocato di Lorena, Giovanni De Nardo, ha chiesto per lei gli arresti domiciliari: «Ha confessato tutto, non c’è rischio di fuga. Se avessero voluto sparire, avrebbero avuto giorni per farlo». La decisione del gip è attesa nelle prossime ore. Nel frattempo, Gemona si interroga. Chi ha conosciuto Lorena la descrive come una professionista precisa, sempre presente.