8blevrai, rapper italiano di seconda generazione: «Ho subito il razzismo ma ora vado oltre, i Maranza non sono il problema» – L’intervista


Marracash già diversi anni fa, in tempi non sospetti, parlava dei giovani rapper italiani di seconda generazione come la più stimolante prospettiva della scena. Questo perché il rap è un genere musicale, si, ma è anche un codice comunicativo attraverso il quale, prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo, tutto il mondo attualmente, si sono affrontati scottanti temi sociali. Marracash aveva ragione, non a caso oggi alcuni dei più ascoltati rapper sono ragazzi italiani di seconda generazione come Ghali, Baby Gang, Bello Figo, Simba La Rue, Sacky, Neima Ezza. Numeri impressionanti, ma soprattutto visioni del nostro paese particolarmente interessanti, il rap come lente per guardare all’Italia attraverso realtà molto distanti da quelle della classica Italia “cotugnesca” da «Italiano vero». È chiaro, il boom di popolarità ha imborghesito anche il rap, diventato merce da classifica, il riscatto sociale spesso straborda in atteggiamenti violenti, troppo spesso misogini, il che non ha fatto altro che amplificare una percezione distorta non solo degli italiani di seconda generazione come artisti ma anche come persone, ultimamente ferocemente attaccate da una certa politica. 8blevrai, vero nome Otmen Belhouari, nato in Italia da genitori marocchini nel 1997, nella sua musica, specialmente in brani come Immigrato, Miseria, Maranza, ha affrontato di petto il problema, sottolineando spesso la perversa capacità di una buona fetta di italiani di spersonalizzare chiunque sia percepito come straniero, inquadrarlo solo all’interno di quella che considera una comunità distante sotto ogni punto di vista, così attraverso le sue canzoni si può comprendere meglio cosa vuol dire essere giovani e giovani artisti di seconda generazione in Italia oggi.
Sei d’accordo con Marracash? I rapper italiani di seconda generazione sono la più interessante prospettiva della scena?
«Sì, assolutamente sì. Per il semplice motivo che abbiamo modi di vedere diversi, culture diverse, tradizioni diverse, quindi tutto questo influenza la nostra musica e la arricchisce anche»
Tu credi che questo plus sia percepito in Italia?
«Non credo che in Italia oggi sia capito al 100%, perché noi italiani siamo sospettosi verso tutto ciò che va al di fuori di pasta e pizza, quindi ci vuole tempo per far sì che tutti capiscano. Ma le cose inevitabilmente cambieranno e secondo me anche a livello musicale diventeremo anche molto più internazionali, come succede in tanti altri paesi europei»
Sei consapevole che tanti, sentendoti utilizzare l’espressione “noi italiani”, penseranno: “Ma questo non è italiano, perché dice noi italiani?”. Tu questa sensazione la senti nella tua vita?
«Io questa cosa qua la percepisco sia in Italia che in Marocco: “Non sei italiano”, “Non sei marocchino”. Sono un figlio del confine, se hai un piede di qua e un piede di là agli occhi delle altre persone non sarai mai al 100% né italiano né marocchino. Però io quando voglio essere italiano lo sono al 100% e quando voglio essere marocchino lo sono al 100%, e quando voglio essere una via di mezzo, un incrocio, lo sono. A me queste identificazioni non mi interessano, Io so bene chi sono e sono arrivato a un livello tale di maturità che il giudizio degli altri non mi tocca e non mi interessa. Poi ci sono ovviamente altre persone che stanno vivendo questa cosa da poco, magari sono anche molto più giovani e provano un po’ più di rabbia quando si sentono giudicati, ma crescendo arrivi a capire che sei avvantaggiato, hai un plus rispetto alle altre persone. Poi arriveremo anche al punto che non si capirà più chi è italiano e chi non lo è, è un processo molto lungo, ci vorrà tempo, però alla fine sarà bello»
Credi che il rap italiano debba assumersi la responsabilità di parlare più di sociale?
«Io ti posso dire solo una cosa: i ragazzi di oggi non stanno sbagliando. I ragazzi di oggi sono il riflesso di questo periodo storico. Le persone oggi sono egoiste, non sono più come una volta. L’interesse per il sociale si è perso anche al di fuori della musica»
In un’intervista hai dichiarato che la politica non ti interessa…
«Che non seguo la politica al 100% è una bugia, però cerco di tenerla fuori dalla mia vita. Ovviamente ho i miei principi, i miei valori, le cose per le quali combatto e che difendo. Poi la politica sì, la vedo e non mi piace, non ci vado proprio d’accordo, perché vedo tante ingiustizie e cose che non riesco a comprendere»
In un’altra intervista hai detto: “Per me essere Maranza è essere me stesso”. Cosa diresti a uno di quei politici che puntano il dito contro i Maranza?
«Gli direi che le cose importanti sono altre. Ci sono Maranza che creano un po’ di situazioni sgradevoli e ci sono Maranza che sono delle persone normali. Poi Maranza non vuol dire che sei un marocchino, è come dire “tamarro”. Questi politici che si svegliano per andare addosso ai Maranza mi fanno un po’ ridere, io se facessi quel lavoro mi concentrerei su altri problemi che abbiamo qua in Italia. Poi perdono tempo, la seconda generazione ormai è dentro, potrà solo crescere»
Sai che molti leggeranno questa dichiarazione quasi come una minaccia…?
«Ma è la realtà dei fatti, non è una minaccia. Anzi, bisogna vederlo come un bene, perché il nostro paese può solo crescere accogliendo culture diverse»
Hai subito razzismo nella tua vita?
«Sì, l’ho subito, l’ho subito più di una volta, a volte lo subisco ancora, però cerco di non vederlo così. Quando uno cerca di approcciarsi a me in quel modo lì, mi dico “Ok, questo è solo stupido e ignorante e non mi ha capito. Non ha capito né chi sono né che cosa voglio dirgli”. Io oggi nella mia vita ragiono come se il razzismo non esistesse, così non mi creo problemi, sto tranquillo, vivo bene e non mi faccio influenzare da questa cosa. Poi ci sono momenti in cui lo vedo ma cerco di reagire in modo diverso rispetto a quando avevo vent’anni»
Come sono stati gli anni della scuola?
«Quando sei ancora piccolo e devi crescere, sentirti diverso non è bello. Nelle scuole non c’è mai stato neanche un programma di integrazione, questa cosa qua è mancata e ne abbiamo sofferto, soprattutto noi che siamo cresciuti in classi con due stranieri su venti ragazzi. Tu percepisci che ti guardano in maniera diversa e non cresci in maniera sana, tutte queste cose qua rappresentano traumi, così magari crescendo inizi a reagire male con quelle persone che sono razziste con te»
A questo punto sicuramente qualcuno leggendo penserà che siete voi a non volervi integrare…
«Questo linguaggio ce l’hanno messo nel sistema quelli ai quali fa comodo questa guerra tra poveri. Perché alla fine è una guerra tra poveri questa qua, le persone si concentrano sulla distinzione tra razze e perdono il focus dalle cose più importanti. Perché sui social, sui giornali, nei tg le cose spesso vengono raccontate con un titolo per fare clickbait e le persone poi si fanno ingannare e sviluppano dei pregiudizi senza conoscere, senza capire. Quindi bisogna cercare di uscire da questo linguaggio, cercare di usare la propria testa, il proprio cuore, i propri presentimenti. Che presentimento hai verso quella persona? Ti piace? Non ti piace? Lascia perdere quello che vedi, guarda quello che senti, capito? Gli occhi ingannano»