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Concorso bis per diventare presidi, sparisce il programma di studio e cambia il test: 253 candidati fanno ricorso al Tar, ma vince il ministero

06 Agosto 2025 - 19:30 Ygnazia Cigna
concorso 253 presidi ricorso tar
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Dopo il concorso del 2017 e anni di contenziosi fermi, centinaia di candidati hanno avuto la possibilità di una prova straordinaria nel 2023, ma con regole diverse. Per i giudici, le modifiche erano legittime anche se rivolte agli stessi partecipanti

Avevano partecipato al concorso nazionale per diventare dirigenti scolastici nel 2017, ma erano stati bocciati. Così hanno fatto ricorso, aspettando per anni che la giustizia riconoscesse loro un’altra possibilità. Quando il ministero dell’Istruzione e del Merito ha indetto, nel 2023, un concorso straordinario riservato proprio a chi era rimasto impigliato nelle lunghe code giudiziarie di quella selezione, 253 candidati hanno visto riaccendersi la speranza. Ma quella speranza si è spenta poco dopo: perché secondo loro le regole erano cambiate in modo illegittimo. Hanno così deciso di rivolgersi al Tar del Lazio che, però, gli ha dato torto. Il nodo della questione ruota attorno a un interrogativo: se un concorso pubblico bis è rivolto agli stessi candidati di uno precedente, deve essere identico nei contenuti? La risposta dei giudici è no. Ed è questa la motivazione che ha portato alla bocciatura del ricorso.

Il concorso bis

Tutto ruota intorno al concorso straordinario del 2023 destinato esclusivamente a coloro che avevano partecipato a quello precedente del 2017 per diventare dirigenti scolastici, senza superarlo, e che avevano ancora un ricorso pendente. Il nuovo bando pubblicato dal ministero prevedeva una prova scritta a crocette da svolgere in due ore di tempo. Due delle sezioni della prova erano dedicate all’inglese e alle tecnologie digitali normalmente in uso nelle scuole. Un’altra occasione, ma con nuove regole. Proprio qui è nato il contenzioso.

Programma sparito e nuove indicazioni: perché hanno fatto ricorso

253 aspiranti presidi hanno impugnato il decreto, sostenendo che la nuova prova fosse troppo diversa da quella del 2017. In quella prima selezione, ad esempio, la parte di informatica era prevista solo nella prova orale, mentre nel 2023 era stata introdotta anche nella fase scritta, senza, però, che venisse chiarito su cosa i candidati dovessero prepararsi. Lo stesso valeva per l’inglese: il ministero non aveva fornito alcun programma ufficiale di riferimento, né un’indicazione sui livelli di competenza attesi. E a differenza del 2017, mancava del tutto una bibliografia ufficiale: nessuna lista di testi consigliati, nessuna traccia su cui costruire una preparazione mirata. Illegittimo per i candidati, secondo i quali, trattandosi di una selezione riservata a chi aveva già partecipato nel 2017, l’amministrazione avrebbe dovuto riproporre esattamente le stesse condizioni di partenza: stessi contenuti, stessa struttura, stessi strumenti. Qualsiasi variazione, secondo loro, li metteva in svantaggio.

La sentenza dei giudici: perché ha ragione il ministero

Ma ora il Tar ha smontato tutte le contestazioni degli aspiranti dirigenti, una dopo l’altra. Secondo i giudici, i ricorrenti non hanno dimostrato di aver subito davvero un danno perché non hanno portato prove concrete del fatto che abbiano partecipato al nuovo concorso, né se lo abbiano superato o meno. Soprattutto, non hanno fatto quello che avrebbe davvero potuto cambiare le cose: non hanno contestato la graduatoria finale del concorso, pubblicata nell’agosto 2024. E una volta che quella graduatoria è diventata definitiva, il ricorso contro il bando iniziale ha perso valore. Quindi, se non si mette in discussione l’esito finale del concorso, dimostrando di aver subito un danno, non si può più tornare indietro a discutere le regole del gioco.

Ma i giudici sono entrati anche nel merito della questione: il ministero non era obbligato a ripetere esattamente il concorso del 2017. Poteva cambiare il programma e le modalità. L’unica cosa che doveva restare identica erano i requisiti per partecipare. Per tutto il resto, l’amministrazione aveva margine di scelta. E, secondo il Tar, lo ha usato legittimamente. Il ricorso, quindi, è stato respinto. Tuttavia, visto che la questione, come si legge nella sentenza, non era mai stata affrontata prima nei tribunali, i giudici hanno disposto la compensazione delle spese di giudizio. Così per i 253 bocciati, l’accesso alla dirigenza scolastica resta ancora un traguardo lontano.

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