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Le mafie a Roma: «Oggi domina la Camorra. E il garante della pace è Michele Senese»

grande raccordo criminale mafie roma
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Il Grande Raccordi Criminale illustrato dal prefetto Giannini alla Commissione Antimafia. La camorrizzazione della Capitale e l'ultimo boss che garantisce la pace «sennò parlano le armi»

Le mafie a Roma ci sono. E cercano di inquinare il potere politico. Sulla Capitale oggi domina la Camorra. Mentre la pax armata è mantenuta dal boss Michele Senese. Che garantisce la coesistenza delle associazioni tradizionali e autoctone come la Banda della Magliana e la ‘ndrangheta. E anche l’ascesa di quelle nuove come i Casamonica e gli Spada. Al momento Cosa Nostra appare depotenziata. Le ‘ndrine comandano sul litorale. La fotografia delle associazioni mafiose a Roma l’ha fornita il prefetto di Roma Lamberto Giannini, ascoltato a palazzo San Macuto dalla commissione parlamentare Antimafia. Gli echi delle sue parole si sentono nelle storie di cronaca di questi mesi. Ma la «camorrizzazione» di Roma, come la chiama l’ex magistrato Antonio Sabella, ha anche caratteristiche più proprie.

La Camorra a Roma

Nella Capitale c’è un equilibrio che nei fatti riproduce, dice Giannini, una «pax mafiosa». Il «predominio» sulla Capitale è «della camorra» e l’uomo che mantiene la pace è Michele Senese. «L’importante per fare affari è non farsi la guerra», mentre è forte la presenza dell’ndrangheta, soprattutto sul litorale con tante “locali”», come ad Anzio e Nettuno, comuni sciolti per mafia. Tra le famiglie autoctone della Capitale, Giannini ha citato «i Casamonica a Roma sud che, a loro volta, sono collegati con gli Spada», che invece controllano Ostia. Tra le mafie straniere, quella cinese è un «sistema estremamente chiuso, spesso familiare, una grandissima omertà ed altri gruppi che vi si affiancano per riciclare denaro». La nigeriana implica anche «un importante discorso di immigrazione clandestina e tratta di donne, spesso soggiogate e vittime di riti voodoo».

Lo spaccio

Lo spaccio è organizzato a livello territoriale. «Ci sono spacciatori al dettaglio, assaggiatori, addetti alla custodia e al ritiro del denaro, pusher, capi-piazza», alcuni dei rapporti di lavoro sono strutturati con contratti, licenziamenti, punizioni. Una piazza di spaccio porta a far lavorare fino a 300 persone. E arriva a garantire 30 mila euro al giorno di incassi, 70 mila nei fine settimana. Oltre a cocaina, la principale droga sintetica in circolazione è il crack. Raro il Fentanyl. L’edizione romana del Corriere della Sera ricorda gli ultimi fatti di cronaca che possono essere attribuiti a mafie. Come le due bombe davanti ai negozi a Ostia e Acilia. Ovvero quel quadrante sud della Capitale dove da anni la camorra, i fuoriusciti dai Casalesi e famiglie come gli Spada e i Fasciani si combattono il controllo del territorio.

Roma Sud e le sue mafie

Ad Acilia e a Dragoncello ci sono invece i Sanguedolce, che hanno combattuto contro i “napoletani” Costagliola. Un esponente della ‘ndrangheta a luglio è stato arrestato dopo venti anni di spaccio nella Capitale, zona Est. A Tor Bellamonaca è morto Giuseppe Molisso, uno dei “figliocci” del boss di camorra Michele Senese, così come il suo rivale Fabrizio Piscitelli “Diabolik”. Che invece voleva saldare la camorra con gli albanesi ed è stato ucciso. Le famiglie cinesi controllano l’economia all’ingrosso dell’Esquilino e del resto di Roma. A Montespaccato e Cornelia comandava Franco Gambacurta.

Alfonso Sabella e la camorrizzazione di Roma

Il quotidiano sente anche Alfonso Sabella, che parla di camorrizzazione di Roma. Ovvero: «La presenza di più bande criminali che si reggono su equilibri sottili ma variabili, senza che nessuna prevalga o controlli la città». A Roma «ci sono le grandi organizzazioni che operano nell’ombra, come la ‘ndrangheta che ha in mano pezzi di città col riciclaggio, e c’è il business del narcotraffico in quella che è una delle principali piazze di spaccio europee. Il vero snodo per la quantità di denaro che muove, l’economia parallela che genera, la capacità di sostituirsi allo Stato dando lavoro».

Grande Raccordo Criminale

Chi indaga da queste parti ha un problema: «A Roma non si fa a tempo ad afferrare un filo conduttore perché i capi e le alleanze cambiano di continuo sulla spinta di questi guadagni. Da presidente della corte per “Grande Raccordo Criminale” (l’inchiesta della Dda che svelò gli affari di Piscitelli e del suo socio Fabietti, ndr) a giudice per i pusher, il sistema che mi trovo davanti è sempre quello: una filiera di vedette, spacciatori, corrieri e figure collegate che alimentano il mercato in modo tanto semplice, quanto complesso da contrastare. Ancora di più oggi che avviene tutto via chat e su mezzi a noleggio. Se arresti un ragazzo con 20 dosi, sai che dietro di lui c’è una organizzazione. Ma il pusher viene sostituito in un attimo, mentre quello che c’è a monte è difficile da ricostruire».

Michele Senese

Secondo Sabella Michele Senese è oggi un punto di riferimento «perché questo sistema così frammentato ha bisogno di una figura a cui affidarsi per sanare le liti e garantire la divisione delle zone di influenza. Quando questa pace salta, parlano le armi, come dimostrano l’omicidio Piscitelli e gli altri più recenti». Tante sentenze e inchieste raccontano le mafie romane eppure fa ancora scalpore se il prefetto ribadisce il concetto. Perché? «Perché Roma ha una tendenza innata alla negazione del fenomeno. I grandi affari non si vedono e lo spaccio sembra un fatto di periferia, anche se la droga arriva ovunque. Si cerca la somiglianza con Cosa Nostra e si pensa a fenomeni marginali».

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