Donald Trump non ha posto fine a 7 guerre “interminabili”


In un lungo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente Donald Trump ha accusato le altre nazioni di non aver sostenuto i suoi sforzi di mediazione per raggiungere degli accordi nei conflitti militari in corso nel mondo. Durante l’intervento, il presidente americano ha rivendicato di aver «posto fine a sette guerre “interminabili”» in appena 7 mesi, citandole nel seguente ordine: Thailandia-Cambogia, Kosovo-Serbia, Congo-Rwanda, India-Pakistan, Israele-Iran, Egitto-Etiopia e Armenia-Azerbaijan. Si tratta di un’affermazione priva di fondamento.
Per chi ha fretta
- In realtà, Trump può parlare di tregue fragili o dispute diplomatiche ancora irrisolte.
- In due casi (Kosovo-Serbia ed Egitto-Etiopia) non c’è stata alcuna guerra da fermare.
- In altri (Israele-Iran, Thailandia-Cambogia, India-Pakistan) si parla di cessate il fuoco temporanei, non di conflitti conclusi.
- Congo-Rwanda e Armenia-Azerbaijan hanno firmato dichiarazioni di pace, ma in Africa le violenze non sono cessate e i negoziati tra le due ex repubbliche sovietiche restano incompiuti.
Analisi
Ecco la trascrizione dell’intervento di Donald Trump in merito ai conflitti che avrebbe posto fine in appena 7 mesi:
Allo stesso modo, in un periodo di soli sette mesi, ho posto fine a sette guerre “interminabili”. Dicevano che erano impossibili da risolvere. Alcune andavano avanti da 31 anni, due di esse, 31 anni: pensateci, 31 anni. Una da 36 anni, una da 28 anni. Ho chiuso sette guerre. E in tutti i casi erano conflitti furiosi, con innumerevoli migliaia di persone uccise. Questo include Cambogia e Thailandia, Kosovo e Serbia, Congo e Ruanda, Pakistan e India, Israele e Iran, Egitto ed Etiopia, e Armenia e Azerbaigian.
Nei passaggi chiave dell’intervento all’Assemblea generale, Trump ha sostenuto che «tutti» direbbero che merita il Nobel per la Pace per i risultati ottenuti. Eppure, l’elenco da lui fornito non corrisponde a realtà.
Le tregue precarie
Il Presidente americano esagera, sostenendo di aver posto fine a conflitti come quelli (di fatto) in corso tra Israele e Iran. In alcuni casi, Trump può parlare al massimo di una “tregua precaria“, così come per altri casi citati durante l’intervento alle Nazioni Unite.
Il conflitto tra Israele e Iran
Dopo circa 12 giorni di guerra, tra attacchi e ritorsioni (con coinvolgimento americano su siti nucleari iraniani), il 24 giugno entra in vigore un cessate il fuoco mediato da USA e Qatar, annunciato da Donald Trump su Truth.

Nonostante la tregua, che non ha posto fine al conflitto, l’Iran è intenzionato a non cedere alle pressioni per fermare l’arricchimento dell’Uranio. Il leader iraniano, Ali Khamenei, ha dichiarato che l’America «riceverà uno schiaffo in faccia». Inoltre, il 21 settembre, l’Iran ha rilasciato una dichiarazione dove minaccia risposte decisive, schiaccianti e tempestive contro qualunque azione ostile da parte degli Stati Uniti e di Israele.
Il conflitto tra Thailandia e Cambogia
Il 28 luglio Bangkok e Phnom Penh annunciano un cessate il fuoco dopo pesanti scontri di fine luglio. La tregua è stata presentata come frutto anche di pressioni USA, come raccontato in un intervento di Donald Trump su Truth.

Tuttavia, poco dopo la tregua si sono registrati nuovi incidenti e accuse reciproche. Il 17 settembre, pochi giorni prima dell’intervento di Trump alle Nazioni Unite, 200 cambogiani hanno attraversato il territorio thailandese per rimuovere le barriere di sicurezza lungo il confine contesto, scatenando uno scontro violento che ha causato diversi feriti. Come riportato nei press briefing del Ministero degli Esteri thailandese del 19 e del 23 settembre 2025, il governo di Bangkok considera le tensioni con la Cambogia ancora elevate e sottolinea come persistano numerose accuse reciproche. Dal canto suo la Cambogia denuncia presunte violazioni territoriali e abusi da parte thailandese. Di fatto, Donald Trump non ha posto fine al conflitto. Al massimo, ha ottenuto un breve e precario cessate il fuoco tra i due Paesi.
Il conflitto tra India e Pakistan
Il 10 maggio, le due potenze nucleari avevano annunciano un cessate il fuoco dopo giorni di escalation. Mentre Islamabad aveva ringraziato Trump, il quale afferma di aver avuto un ruolo fondamentale nell’operazione, Nuova Delhi nega che l’intesa sia nata da pressioni esterne o grazie all’intervento di altri leader stranieri, ma da contatti diretti tra direttori delle operazioni militari. In ogni caso, si tratta soltanto di una “tregua” come nel caso del conflitto tra Thailandia e Cambogia.
I due “conflitti” mai iniziati
Donald Trump indica nel proprio elenco due conflitti armati che non hanno mai avuto inizio. Sebbene ci siano dei conflitti a livello politico, al momento non c’è stato alcuno scontro militare.
Il “conflitto” tra Kosovo e Serbia
In realtà, Trump non ha posto fine ad alcun conflitto tra Kosovo e Serbia in quanto non è mai iniziato. Al massimo, come riportato dai media kosovari a luglio, Trump viene ringraziato per il «mantenimento della pace e della sicurezza» nella regione.
Dopo aver sostenuto di aver fermato la Serbia, accusandola di aver orchestrato un intervento armato in Kosovo, il 12 settembre l’amministrazione americana avrebbe sospeso il dialogo con quella del primo ministro kosovaro Albin Kurti.
Il “conflitto” tra Egitto ed Etiopia
Come nel caso tra Kosovo e Serbia, tra Egitto ed Etiopia non risulta alcun conflitto armato. Si può parlare al massimo di una questione diplomatica tra i due Paesi riguardo una disputa di carattere idrico. Di fatto, Egitto e Sudan sostengono che la diga sul Nilo costruita in Etiopia rischierebbe di privare entrambi i Paesi della loro quota d’acqua. Donald Trump è realmente intervenuto a sostegno della causa egiziana. Tuttavia, la disputa rimane tutt’oggi irrisolta.
Le due dichiarazioni
Risulta che l’amministrazione Trump abbia avuto un ruolo in merito a due dichiarazioni di pace. In questo caso, parliamo dei conflitti tra la Repubblica Democratica del Congo e Rwanda, così come quello tra Armenia e Azerbaijan, ma non si sono ancora concretizzati. Al contrario, in Africa i massacri non sono cessati.
Il conflitto tra la Repubblica Democratica del Congo e Rwanda
Il 27 giugno viene firmata a Washington una dichiarazione di pace tra i ministri degli Esteri di entrambi i Paesi davanti al Segretario di Stato Marco Rubio. Si tratta effettivamente di un lungo conflitto che dura ormai da quasi trent’anni, che non è affatto cessato dopo l’evento nella capitale americana. Secondo quanto riportato da un rapporto del 5 settembre dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, sono stati riscontrate diverse violazioni, abusi e massacri.

A luglio, entrambi i fronti avevano rafforzato le loro posizioni nel Sud Kivu, vicino al confine con il Burundi. In particolare, viene riportata l’offensiva da parte dell’M23 (organizzazione paramilitare della RDC) in un’area ritenuta roccaforte delle forze armate ruandesi, dove i sopravvissuti hanno descritto l’esecuzione sommaria di centinaia di civili, tra cui decine di bambini, con machete e asce.
In conflitto tra Armenia e Azerbaijan
L’8 agosto alla Casa Bianca le parti avevano sottoscritto una dichiarazione congiunta, dopo quasi 40 anni di conflitto, che avanza su confini, transiti e cooperazione (incluso un corridoio di collegamento TRIPP). Tuttavia, i due Paesi non hanno ancora raggiunto un accordo sulla delimitazione dei confini, e l’Azerbaigian continua a occupare alcune aree del territorio armeno. Perciò, non si tratta di un trattato di pace definitivo. Si può parlare di un primo passo verso una pace che deve essere ancora concretizzata internamente nei due Paesi. Infatti,
Conclusioni
La rivendicazione di Donald Trump di aver «posto fine a sette guerre “interminabili”» non trova riscontro nei fatti. In alcuni casi si tratta di tregue brevi e instabili, in altri di dispute politiche o diplomatiche mai sfociate in conflitti armati. Dove sono state firmate dichiarazioni di pace, la violenza non si è arrestata o il percorso non risulta affatto concluso.
“BUG – Bufale USA e getta” è la rubrica di Open Fact-checking dedicata alle falsità e le notizie fuorvianti provenienti dagli Stati Uniti. Il nome richiama il “bug di sistema” informatico, metafora per le distorsioni e le stranezze dell’infosfera americana.