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Quiz, QR code e altoparlanti, lo show di Netanyahu all’Onu: «Genocidio? È Hamas che affama i palestinesi e vuole cancellare Israele» – I video

26 Settembre 2025 - 16:41 Diego Messini
Il premier israeliano all'Assemblea Generale attacca chi lavora per i due Stati: «Sono i palestinesi a non volerlo». Ma su Gaza promette: «Finiremo presto il lavoro»

La cartina del Medio Oriente irriconoscibile rispetto a un anno fa, grazie ai colpi inferti all’Iran e a tutti i suoi proxies nella regione. Il QR code inquadrabile per riportare alla mente le atrocità del 7 ottobre in bella vista sulla giacca. I quiz a risposta multipla per la sala sull’odio dei fondamentalisti islamici verso Europa e Stati Uniti. E il messaggio in doppia lingua rivolto direttamente agli ostaggi ancora in catene a Gaza e ai loro carcerieri. È un Benjamin Netanyahu scatenato e «creativo» quello che ha preso la parola oggi al podio dell’Assemblea Generale dell’Onu in corso a New York. Nonostante decine di delegati abbiano lasciato la sala al momento del suo intervento, e alcuni abbiano schiamazzato in aula, il premier israeliano ha parlato con l’usuale piglio per mezz’ora di fila per difendere a spada tratta l’azione di Israele in Medio Oriente. Ha rivendicato in particolare i frutti dei colpi inferti all’Iran – coi bombardamenti agli impianti nucleari dello scorso giugno – e ai suoi alleati nella regione, da Hamas a Hezbollah sino agli Houthi in Yemen. Sulla fase attuale della guerra a Gaza si è dilungato però il minimo indispensabile, promettendo (in primis a Donald Trump) che «vogliamo finire il lavoro a Gaza il più velocemente possibile». Per il resto, ha risposto colpo su colpo agli argomenti dei sostenitori della Palestina in tutto il mondo, chiudendo senza tanti complimenti a ogni prospettiva di soluzione a due Stati.

Il messaggio in diretta agli ostaggi e ai miliziani di Hamas

«Coraggiosi eroi, chi vi parla è il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu in diretta dalle Nazioni Unite. Sappiate che non vi abbiamo mai dimenticato, neppure per un secondo. Non ci daremo pace sino a che non vi avremo riportato tutti a casa». Sono le parole che il premier ha scandito, prima in ebraico e poi in inglese, dal podio dell’Onu rivolte alle decine di ostaggi israeliani ancora prigionieri a Gaza a quasi due anni dal 7 ottobre. Nelle scorse ore infatti l’Idf, su istruzione del governo, aveva fatto installare altoparlanti in diversi punti della Striscia e sembra anche preso il controllo dei telefonini per cercare di far arrivare le parole del premier in diretta da New York in tutta Gaza, anche agli stessi ostaggi. Poi il messaggio rivolto ai loro carcerieri di Hamas: «Deponete le armi, liberate gli ostaggi ora e lasciate in pace il mio popolo. Se lo fate, vivrete. Se no, Israele vi darà la caccia ovunque». Infine, rivolgendosi direttamente ai palestinesi, Netanyahu ha detto che se Hamas abbandonerà effettivamente il governo della Striscia «potrà vedere la luce un governo transitorio guidato da gente di Gaza impegnata per la pace con Israele».

Genocidio e fame, Netanyahu smonta le «menzogne» su Gaza

Netanyahu, su cui pende un mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, ha poi voluto usare il podio dell’Onu per smontare quelle che ha definito come menzogne diffusesi ovunque nel mondo contro Israele. Il genocidio? «Ma davvero pensate che se volessimo farlo inviteremmo la popolazione ad evacuare? Vi risulta che i nazisti facessero qualcosa di simile con gli ebrei, o qualsiasi altra potenza genocida della Storia lo abbia fatto? Sono accuse così palesemente senza base!», è sbottato Netanyahu, puntando il dito poi contro Hamas, vera unica «organizzazione genocida che appella esplicitamente alla cancellazione di tutti gli ebrei del mondo». Sono proprio i miliziani, ha proseguito il premier israeliano, i primi responsabili della tragedia del popolo palestinese impedendogli di lasciare le zone di guerra. La fame? Altra accusa surreale a Israele, ha detto Netanyahu: «Dall’inizio della guerra abbiamo distribuito oltre 2 milioni di tonnellate di cibo, quasi 3mila calorie al giorno per persona. Se la gente a Gaza non ha cibo è perché Hamas lo confisca e lo rivende a prezzi mostruosi. Il mese scorso persino l’Onu ha chiarito che l’85% dei camion sono stati assaltati dai miliziani». Alla base delle accuse e dell’odio nel mondo contro Israele, ha concluso Netanyahu, c’è in realtà l’antisemitismo risorgente, duro a morire.

Il no allo Stato palestinese: «Lo vogliono al posto di Israele»

Netanyahu infine ha risposto all’offensiva diplomatica guidata dalla Francia di Emmanuel Macron per il riconoscimento dello Stato palestinese. «Signor Primo Ministro, ma noi crediamo nella soluzione a due Stati, mi dicono i leader mondiali al telefono», ha riferito Netanyahu. «Il problema è che sono loro, i palestinesi, a non volerlo: in realtà vogliono uno Stato palestinese al posto di Israele. Ecco perché ogni volta nella storia che è stato presentato loro un piano concreto di partizione o sono state dati loro dei territori li hanno usati per attaccarci», ha affondato Netanyahu. «Uno Stato di fatto lo hanno già avuto, col pieno controllo della Striscia di Gaza (dal 2006 guidata da Hamas dopo il ritiro unilaterale di Israele, ndr). E cose ne hanno fatto? Ci hanno tirati razzi e missili e l’hanno trasformata nella piattaforma da cui portare l’attacco terroristico del 7 ottobre». E a rifiutarsi di fatto di convivere fianco a fianco ad Israele non è solo Hamas, ha chiarito Netanyahu, ma pure i «cosiddetti moderati dell’Anp, che paga i terroristi per ogni ebreo ucciso». Ecco perché, ha concluso durissimo il leader israeliano, «dare uno Stato ai palestinesi oggi, dopo il 7 ottobre, sarebbe come aver dato uno Stato ad Al-Qaeda dopo l’11 settembre». Una convinzione questa, ha sottolineato Netanyahu, «non di un premier o un governo estremista ma dell’intero Paese» perché «oltre il 90% degli israeliani si oppone a uno Stato palestinese. Molti Paesi hanno ceduto alle pressioni di Hamas, noi non cederemo mai».

Le avances a Siria, Libano e oppositori iraniani

Un ramoscello d’ulivo alla fine Netanyahu lo ha teso se mai ad altri Stati arabi della regione, sottolineando i possibili frutti del cambiamento epocale del Medio Oriente degli ultimi due anni. La Siria di Ahmed Al Sharaa, con cui «stiamo negoziando e penso che si possa arrivare a un accordo che preservi i diritti anche di tutte le minoranze, a partire dai drusi». Il Libano multi-confessionale, con cui si potrà aprire un nuovo capitalo «se il governo prosegue nel processo di disarmo di Hezbollah». E con tutti gli altri Paesi della regione con cui Israele non vede l’ora di cooperare estendendo l’ombrello dei cosiddetti Accordi di Abramo una volta che sarà stata messa in cassaforte la «vittoria su Hamas». «Daremo loro tecnologie d’avanguardia israeliane nel settore della difesa, dell’agricoltura e in molti altri», ha promesso Netanyahu. Infine, un ultimo messaggio ai cittadini del Paese “nemico” per definizione, nel nome di Donald Trump: Make Iran great again, «tornate a fare dell’Iran un grande Paese». E magari amico di Israele.

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