Ucraina e Moldavia in Ue? Dietro i proclami i negoziati sono fermi. E ora Bruxelles studia il piano B per beffare Orbán


«Moldavia, l’avete fatto di nuovo. Avete fatto una scelta chiara: l’Europa, la democrazia, la libertà. La nostra porta è aperta. E saremo con voi ad ogni passo della strada». È la dichiarazione entusiasta con cui, lunedì mattina, Ursula von der Leyen ha celebrato il successo del fronte europeista alle elezioni parlamentari in Moldavia. Segno evidente del sospiro di sollievo tirato dai leader europei rispetto al rischio di uno scivolamento del Paese ex-Urss nell’orbita della Russia di Vladimir Putin. Eppure quelle parole all’orecchio di molti cittadini di Chisinau che si riconoscono nella bandiera a dodici stelle sono suonate vuote. Già perché così come per l’Ucraina, il processo di avvicinamento della Moldavia all’Unione europea in realtà è fermo al palo. A dicembre 2023 i capi di Stato e di governo Ue avevano deciso di aprire i negoziati di adesione con i due Paesi minacciati dalla Russia. A giugno 2024 si è svolta la prima conferenza intergovernativa tra i rispettivi rappresentanti. Poi, proclami altisonanti a parte, nessun altro avanzamento concreto. Non che a Bruxelles o in altre capitali manchi la volontà politica. Il problema n° 1 ha un nome e cognome: Viktor Orbán. È soprattutto la sua Ungheria ad opporsi all’ingresso nel “club” europei dei Paesi guidati da Volodymyr Zelensky e Maia Sandu. E stante la necessità dell’unanimità, l’Ue si trova con le mani legate. Fino a prova contraria. Perché ora a Bruxelles si stanno studiando escamotage per dare un’accelerata ai processi di adesione dei due Paesi.
L’idea di Costa e lo scoglio dell’unanimità
A lavorare dietro le quinte a una soluzione che permetta di scavalcare il veto ungherese è soprattutto Antonio Costa, l’ex premier portoghese che ora guida il Consiglio europeo, l’organo che rappresenta i leader dei 27. Cosa propone Costa per sbloccare l’impasse e procedere nel percorso di avvicinamento di Kiev e Chisinau all’Ue? Essenzialmente, di cambiare le regole perché si possano far partire i negoziati sui cosiddetti “cluster” – temi chiave su cui i Paesi candidati intraprendono percorsi di riforma – decidendo non più all’unanimità ma a maggioranza qualificata. Peccato che il gatto si morda la coda: per cambiare quella regola, serve l’unanimità. Detto altrimenti, l’Ungheria dovrebbe acconsentire all’escamotage che consenta di sbloccare il veto della stessa Ungheria. Ecco perché l’iniziativa di Costa, pur apprezzato per i suoi modi felpati, rischia di non andare lontano, hanno fatto sapere funzionari Ue al Financial Times.
L’escamotage «tecnico» e il pressing su Orbán
Secondo la testata britannica, per questo, tra i governi Ue si discute in queste ore una seconda ipotesi per sbloccare l’impasse: saltare la formale procedura decisionale e far partire il lavoro con Ucraina e Moldavia sulle riforme su un piano puramente «tecnico». La luce verde ufficiale prima o poi andrà comunque espressa dai 27 all’unanimità, come indicano i Trattati. Ma intanto, è la tesi, si avanzerebbe col lavoro. I governi di Kiev e Chisinau hanno fatto sapere di apprezzare l’idea, anche se continuano a sperare nella strada maestra, ossia di convincere Orbán a togliere il suo veto. La questione potrebbe essere discussa al massimo livello domani, quando a Copenaghen si riuniranno i 27 capi di Stato e di governo Ue. «Dobbiamo trovare il modo di progredire, perché il livello di frustrazione (in Ucraina e Moldavia, ndr) non solo contro l’Ungheria ma contro tutti noi sta crescendo», ha confidato all’Ft un funzionario Ue.