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Michela Florean: «I miei 28 anni con Luca, fidanzato disabile»

06 Ottobre 2025 - 06:29 Alba Romano
michela florean luca romanin
michela florean luca romanin
Il racconto della vita dopo l'incidente: «Non volevo fare la crocerossina. Semplicemente, io per lui ho provato, provo e proverò sempre un amore immenso»

Luca Romanin, di Concordia Sagittaria (Venezia), è morto due giorni fa a 49 anni. Era rimasto gravemente disabile per una brutta caduta con gli sci avvenuta 26 anni fa. La sua fidanzata, Michela Florean, gli è rimasta accanto per tutto questo tempo lasciando il lavoro per lui. Oggi è sola, «forse per la prima volta, da quando Luca non c’è più». E con La Stampa riepiloga questo quarto di secolo passato con lui. A partire dall’inverno del 1999: Luca, 23 anni, era andato a sciare con il fratello Marco e un cugino sulla pista della Gran Risa, in Alta Badia. Lei non era andata con lui. Poi la caudta, e il trasporto con l’elicottero all’ospedale di Bolzano.

Luca e Michela

«I successivi 7-15 giorni li ha trascorsi in prognosi riservata. Sembrano pochi, in realtà non passavano più», ricorda Michela. Dopo due anni Luca esce dall’ospedale su una sedia a rotelle. Non cammina e non parla. Michela lascia il lavoro e si trasferisce in un appartamento ricavato all’interno della casa dei genitori del fidanzato. «In realtà non l’ho deciso. Perché, quando si prova un amore così grande, non si sceglie. Semplicemente si vive la situazione, e poi gli eventi fanno il loro corso. Con questo non voglio dire che sia stato facile, tutt’altro. E io non volevo fare la crocerossina. Semplicemente, io per Luca ho provato, provo e proverò sempre un amore immenso», racconta ora lei.

Il primo incontro

Michela racconta il primo incontro con Luca: «Diciotto anni io, diciannove lui. Ci siamo conosciuti perché era venuto a giocare a basket nella palestra del mio paese, ed è stato il classico colpo di fulmine. Anch’io giocavo a basket, e pure a un livello discreto, e lavoravo in un negozio di articoli sportivi. Mentre lui, a 23 anni, era il più giovane istruttore di sub italiano. Era bellissimo, ed è la prima cosa che mi ha colpito. Ci siamo conosciuti e il mese dopo eravamo già inseparabili. Stavamo iniziando a pianificare la nostra vita futura».

L’incidente

Poi la convivenza dopo l’incidente: «Luca non camminava e non parlava: il nostro era un linguaggio empatico, fatto di sguardi ed energie molto più sottili. Ma così siamo andati avanti. A livello di terapie, abbiamo provato di tutto: medicina salvavita, farmaci, fisioterapia, computer col puntatore oculare, osteopatia. A volte, prendevo la macchina per andare in giornata a Firenze, dall’omeopata, e tornare la sera a Concordia. Qualsiasi cosa, per fargli fare una vita il più normale possibile. Ho cercato di avere fede nel futuro, dedicandogli tutto il mio amore, sperando che piano piano i tasselli si mettessero a posto».

Le persone che restano

«Le persone che restano, in queste situazioni, sono poche. È stata una vita scandita dagli orari, dalla routine, dalla dedizione. Però le poche persone che sono rimaste, e quelle che si sono aggiunte, sono straordinarie. Ho conosciuto terapisti che sono diventati amici sinceri», dice Michela. E adesso: «Non voglio fare progetti, ma vivere il presente. Io so che il dolore va attraversato, metabolizzato, e che dopo un po’ inizia a scemare. E io questo voglio fare ora, senza pensare al domani. Vivere come ho sempre fatto finora, Luca è accanto a me».

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