La quinta rottamazione non è un affare per lo Stato: perderà 778 milioni. Cedolare secca alta solo se ci si affida a Booking & co. Ecco a chi andrà lo sconto Irpef

La rottamazione quinquies contenuta nella legge di Bilancio 2026 farà perdere alle casse dello Stato 778 milioni di euro da qui al prossimo 2036. Lo certifica la relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato spiegando come con l’adesione alla rottamazione lo Stato perderà nel 2026 1,477 miliardi di euro che sarebbero invece arrivati dalla riscossione ordinaria, perderà poi 613,76 milioni di euro nel 2027, altri 451,66 milioni di euro nel 2028 e 148,02 milioni di euro nel 2029. Tra il 2030 e il 2036 invece gli incassi dalla rottamazione saranno superiori a quelli che per quelle partite sarebbero arrivate dalle attività di riscossione ordinaria, ma il vantaggio non compenserà la perdita avvenuta negli anni precedenti. A legislazione, infatti, il fisco avrebbe portato a casa in quei dieci anni 9,779 miliardi di euro, mentre con la rottamazione se tutto andrà bene gli incassi arriveranno al massimo a 9,001 miliardi di euro, con appunto quella perdita di 778 milioni di euro di incassi. Secondo la Ragioneria, contrariamente alla tesi di Matteo Salvini e della Lega, la rottamazione non sarà affatto un affare per le finanze pubbliche.
Sconto Irpef per 13,6 milioni di euro, e alla fine lo avrà anche qualche milionario
Dal documento che fa i conti ufficiali della manovra emergono anche altri particolari sugli articoli più importanti della parte fiscale. Ad esempio, spiega che saranno 13,6 milioni gli italiani che beneficeranno della riduzione di 2 punti dell’aliquota mediana dell’Irpef, che passa dal 35 al 33 per cento. Lo sconto vale 2,9 miliardi nel 2026 e a regime circa 2,998 comprendendo gli effetti su addizionali comunali e regionali e sul tfr. Non vale molto la barriera messa a 200mila euro di reddito lordo per il beneficio, perché è tecnicamente legata a uno sconto sulle detrazioni utilizzate (salvo per le spese sanitarie) che pochi di quei contribuenti “più ricchi” abitualmente utilizzano. Quindi lo sconto Irpef varrà in caso di utilizzo delle sole detrazioni al 19% per le spese sanitarie anche per i più ricchi, perfino per i milionari.

Vale 102,4 milioni la cedolare al 26% sugli affitti brevi, ma scatta solo se si usa Booking
Il caos della norma sulla cedolare secca per gli affitti brevi che fa litigare Lega e Forza Italia si comprende meglio proprio dalla relazione tecnica. In realtà la legge di bilancio non alza dal 21 al 26% quella aliquota, come era stato scritto, perché nessuna norma originaria è mai stata cambiata. Nel 2017 la legge aveva previsto la riduzione della cedolare secca (che sempre quella è) dal 26 al 21 per cento per i redditi «derivanti dai contratti di locazione breve relativi a una unità immobiliare individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi». E questa norma resta così, aggiungendo però che «opera solo a condizione che in relazione alla predetta unità immobiliare, durante il periodo d’imposta, non siano stati conclusi contratti tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici».
Tradotto in pratica: se si affitta anche per breve periodo quell’immobile come privato senza intermediario, la cedolare secca resta scontata al 21%. Se lo si fa tramite una agenzia immobiliare o tramite un portale come Booking.com invece lo sconto di legge viene annullato e si paga l’originaria cedolare secca del 26%. Secondo la ragioneria «i soggetti che gestiscono portali telematici, nell’anno 2024, hanno versato ritenute a titolo di acconto del 21% in misura pari a 956 milioni di euro». E si ipotizza che «il 50% di tali ritenute sia riferibile a singole unità immobiliari attualmente assoggettate a cedolare secca con aliquota del 21%». Il Mef di Giorgetti pensa «che il 90% di tale platea continui ad avvalersi delle piattaforme per esigenze di semplificazione e rapidità delle transazioni, si stima che la proposta normativa comporti effetti finanziari positivi a regime in misura pari a circa 102,4 milioni di euro su base annua, corrispondenti ai 5 punti percentuali aggiuntivi da versare in sede di dichiarazione dei redditi. Il restante 10% della platea che sceglierebbe di non avvalersi più dei servizi delle piattaforme telematiche, verserebbe la cedolare secca in sede di dichiarazione dei redditi, senza subire la ritenuta d’acconto».
