Recluta sette uomini per parlare di femminicidi e violenza di genere: il centro Artemisia di Firenze espulso dalla rete Dire

Può un uomo far parte di un centro contro la violenza sulle donne? È questa la domanda che negli ultimi mesi ha creato una spaccatura nel mondo dell’associazionismo femminista italiano. La rete D.i.Re — acronimo di Donne in Rete contro la Violenza, che riunisce oltre 80 organizzazioni in tutta Italia — ha deciso di espellere l’associazione Artemisia, di Firenze, una realtà attiva da più di trent’anni nel contrasto ai maltrattamenti su donne e minori. Il motivo? Artemisia ha scelto di aprire il proprio statuto anche agli uomini, accogliendo sette soci maschi su un centinaio di membri totali. Nessuno di loro assiste direttamente le vittime, ma si occupano di attività di sensibilizzazione e formazione, anche nelle scuole, per promuovere «modelli maschili positivi», alternativi a quelli patriarcali.
La rottura con la rete nazionale
Eppure, la scelta di affidarsi anche agli uomini è stata giudicata incompatibile con lo statuto della rete D.i.Re, che prevede espressamente che i centri aderenti siano di sole donne. Già a marzo, la rete aveva sospeso Artemisia, aprendo un procedimento di esclusione. Il centro fiorentino ha presentato un ricorso che sarebbe dovuto essere discusso ieri, durante l’assemblea nazionale. Invece, la discussione non c’è stata e l’espulsione è diventata ufficiale: nessun voto contrario e solo sette astensioni. «Artemisia ha scelto di aprire il corpo associativo anche agli uomini. È una scelta legittima, ma contraria ai principi costitutivi della nostra rete. Il nostro è un collettivo femminista: la nostra identità si fonda sullo spazio delle donne, costruito nel tempo attraverso il confronto», dichiara la presidente di D.i.Re, Cristina Carelli.
Artemisia: «Serve un impegno collettivo»
Da parte sua, Artemisia rivendica la scelta e assicura di voler tirare dritto per la propria strada. «Abbiamo voluto dare un segnale. Coinvolgere uomini in attività di prevenzione e sensibilizzazione – spiega la presidente Elena Baragli – significa mostrare che esistono modelli positivi di maschilità, lontani da violenza e dominio. Il cambiamento culturale passa anche da qui». Insomma, secondo Baragli la presenza maschile non solo non snatura la missione dei centri antiviolenza, ma la rafforza: «Il contrasto alla violenza non può essere solo un affare delle donne. Nelle piazze dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, c’erano anche tanti uomini. Se vogliamo un vero cambiamento, serve un impegno collettivo».
Il sostegno del Comune di Firenze
A schierarsi con Artemisia è anche l’assessora alle Pari opportunità del Comune di Firenze, Benedetta Albanese, che parla di «una perdita per tutta la rete» dei centri antiviolenza. E per quanto riguarda l’impegno nella lotta contro la violenza di genere, la presidente di Artemisia auspica un ripensamento da parte della rete D.i.Re: «Gli statuti si possono cambiare. Crediamo di aver gettato dei semi per il cambiamento. Ci sono argomenti divisivi che però possono fare la storia. È importante essere apripista di una riflessione».
