Tre pizzerie milanesi che sfidano il tempo: dove mangiare ancora una margherita da 7 euro o meno – Il video
Secondo i dati che l’Istat ha fornito nel 2024 al Ministero delle imprese e del Made in Italy, Milano è la terza città in Italia dove costa di più mangiare in pizzeria. Il prezzo medio di una margherita si aggira intorno agli 8 euro, ma in alcune zone centrali è difficile trovarla a meno di 9. Eppure, esistono ancora le “roccaforti” di una Milano che sembra sempre più lasciare il posto alla gentrificazione. La pizza, nel capoluogo meneghino, è una cosa tanto variegata quanto seria. Accanto alla classica napoletana, c’è la versione leggera e croccante, un sottile disco di pasta che racconta di serate anni Novanta e dei primi anni Duemila. E poi c’è la sua versione più “milanese”, alta e soffice. Quella che ha fatto la fortuna del fenomeno Spontini, ma che è proposta ancora oggi in alcuni dei locali più storici della città.
Piccola Ischia: il progetto di una famiglia napoletana trapiantata a Milano
Sembra di entrare in un presepe, invece è la pizzeria Piccola Ischia. Ha aperto nel cuore di Porta Venezia nel maggio del 1997, quando ancora la pizza napoletana era quasi un piatto esotico al nord. «Siamo arrivati da Ischia, eravamo giovani, io avevo poco meno di vent’anni, mio cognato poco più», racconta Antonio Boi, che con il marito della sorella, Vincenzo Marabini, ha aperto l’insegna quasi trent’anni fa. Quando parla di Enzo, traspare un’immensa riconoscenza. «Io all’epoca ero una testa matta, non avevo voglia di lavorare, lui mi ha portato qui, è sempre stato appassionato, il merito è tutto suo». La voglia di mettersi in proprio, di trasferirsi in una città che all’epoca sembrava promettere a chiunque un riscatto. Per l’arredamento del locale in via Giovanni Battista Morgagni 7, chiamarono un artigiano napoletano, specializzato appunto in presepi. Così, sulle pareti si aprono orizzonti dipinti come finestre sul mare e più in alto, dai balconcini che si affacciano sulla sala principale del locale, si sporgono le statue di Totò e Maradona.
La scuola delle pizzerie napoletane
«I ricordi più belli che ho qui dentro sono i tempi in cui mio padre veniva a darci una mano». Antonio si commuove, è costretto a fermarsi. Il padre è morto qualche anno fa. Se si potesse riassumere in una sola parola lo spirito di questa pizzeria, probabilmente, sarebbe “famiglia“. «Da quando è qui a Milano, Enzo ha insegnato a molti ragazzi a fare la pizza, e alcuni sono qui con noi da anni ormai». Varcata la soglia della cucina, lo staff non fatica a sorridere. Qualche battuta scambiata tra un’infornata e l’altra, il clima è disteso anche se la sala si sta riempiendo. Tonino fa avanti indietro con le mani sempre occupate. «Lui, ad esempio, è con noi da 15 anni, vero, Tonì?», lo interpella Antonio. Tonino annuisce cordiale. Il segreto? «Il personale come lo tratti, ti risponde». Oggi Piccola Ischia ha tre punti vendita: oltre a quello in via Morgagni, ce n’è una in via Cenisio 77 e una in viale Umbria 60. La margherita, qui, costa 6 euro.
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Pizza Ok: un locale sospeso nel tempo
Per chi è abituato a frequentare i locali di Porta Venezia, Pizza Ok è quasi parte del paesaggio. Inconfondibile l’insegna con scritta rossa su sfondo verde. Quando aprì negli anni Settanta era di proprietà di un calciatore, «un certo Dori», racconta Jarno Sbardella, 25 anni, uno dei ragazzi che da più tempo lavorano nella squadra di Pizza Ok. Negli anni Novanta, poi, il locale è passato nelle mani di Serena Catalano, imprenditrice milanese con origini napoletane. La pizza qui, però, è il contrario della versione partenopea: un grande disco di pasta croccante e sottilissima, quasi senza crosta. «Io sono arrivato qui nel 2016, tramite la mia scuola alberghiera – racconta Jarno – ma da bambino ero un cliente assiduo, in un’altra delle sedi». In effetti, c’è un Pizza Ok anche in zona Bonola, a nord ovest della città e un altro – il più storico – in via San Siro 9, a ovest di Milano.
Un punto di riferimento per la comunità LGBTQIA+
Fino a pochi anni fa, la parata del Pride di Milano concludeva la propria sfilata proprio in zona Buenos Aires, a pochi passi dal quartiere in cui sorge Pizza Ok. «Quel giorno lì, più ancora degli altri, tra i nostri clienti c’erano soprattutto rappresentanti della comunità LGBTQIA+ – ricorda Sbardella – ancora oggi che il percorso è stato modificato, molti arrivano comunque a fare festa con noi». In effetti, Pizza Ok negli anni è diventato un punto di riferimento per la comunità Queer milanese. Tutto sembra essere nato per caso. «Innanzitutto noi siamo in un quartiere che storicamente ha sempre avuto una forte componente LGBTQIA+. Negli anni, siamo stati in grado di accoglierli, di farli stare bene. Per questo ancora oggi tornano da noi», conclude Sbardella. La margherita, qui, costa 7 euro.

La Cappelletta di Lambrate: tra leggenda e storia meneghina
Si chiama così per la piccola cappelletta votiva che sorge proprio vicino alle mura del locale. La pizzeria La Cappelletta è un luogo in cui le leggende si intrecciano con la storia della “vecchia Milano” degli anni Cinquanta, e anche prima. Oggi, il ristorante è gestito dalla famiglia Piovan, che arrivò, rilevando quella che già era una pizzeria, nel 1986. Gianluca, che insieme ai fratelli Silvio e Marina e al cognato Pier si occupa della gestione del locale, è un uomo appassionato che a ogni servizio si muove veloce tra i tavoli, senza negare mai una chiacchiera a nessuno. È proprio parlando con un suo storico cliente che ha scoperto che lì, al numero 31 di via Conte Rosso, sorgeva già un’osteria prima degli anni Cinquanta. «Il signor Giancarlo è venuto da me e mi ha confermato “era l’osteria della mia mammetta”», racconta Piovan. Una ricostruzione genealogica che ha origini lontane, resa ancor più complessa dal fatto che il quartiere di Lambrate, fino al 1923, era un comune a sé. I documenti custoditi negli archivi catastali di Lambrate – bombardati durante la seconda guerra mondiale – sono molto difficili da reperire.

La pizza più operaia di Milano
Nelle teglie in alluminio originali del 1974 – quando per la prima volta il locale fu votato a pizzeria – si cuoce quella che è diventata famosa come la pizza milanese per eccellenza. Alta, soffice, con abbondante mozzarella e una deliziosa crosticina sotto. Non ci sono documenti che provino che sia nata davvero a Milano, ma Gianluca racconta di com’è probabile che sia legata alla storia operaia del quartiere. «Una volta qui erano tutte fabbriche, prima fra tutte la Innocenti (quella della Lambretta, ndr)», racconta Piovan. Lambrate era un rione industriale, popolato da chi lavorava in fabbrica e aveva bisogno di mangiare tanto e a poco prezzo. Per questo, è probabile che la pizza al trancio meneghina sia nata proprio in questa zona, a est di Milano. Ancora oggi, la pizza che viene servita a La Cappelletta è uno dei piatti più iconici della città, ma la formula è cambiata per risultare più leggera e adatta a tutti. «Non mettiamo olio, non ungiamo le teglie come era prassi in passato», spiega Pivovan. L’atmosfera, però, è rimasta la stessa, come le vecchie panche su cui ci si può ancora accomodare che, come le teglie, risalgono al 1974. La margherita, qui, costa 7 euro.

