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Il dilemma Schlein: in Usa ha vinto un Pd alla Fratoianni o alla Renzi? Dalle abili giravolte di Mamdani alle tre urne in Virginia la risposta non c’è

06 Novembre 2025 - 17:02 Franco Bechis
mamdani schlein
mamdani schlein
A New York due campagne elettorali del candidato sindaco: una in piazza e l’altra- nascosta- nelle case dei big della finanza. E un’affluenza del 37,7% che qui avrebbe fatto gridare all’astensionismo. E lo strano triplete democratico in Virginia: governatrice bianca protestante ex agente Cia, vicegovernatrice indiana musulmana, procuratore generale afroamericano, cattolico, che sognava di sparare all’avversario. È America, lontanissima dall’Italia

A leggerle in chiave italiana la tornata di elezioni americane vinte dai democratici che hanno conquistato la guida della città di New York e quella degli stati del New Jersey e della Virginia sono un bel rebus politico da interpretare. A New York ha vinto Zohran Mamdani, un giovane democratico che in Italia potremmo definire con una semplificazione «tendenza Nicola Fratoianni». In Virginia e in New Jersey hanno vinto per usare la stessa semplificazione due «Silvie Salis» o se si preferisce due donne «tendenza Matteo Renzi»: l’ex agente Cia Abigail Spanberger (Virginia) e l’ex tenente pilota di elicotteri dell’esercito Usa Mikie Sherril (New Jersey). Tre risultati che sembrano fare a pugni fra loro. La linea più efficace per battere la destra quale è? Quella radicale e di sinistra che è sembrata prevalere a New York, o quella moderata, borghese e centrista che ha vinto sia in Virginia che nel New Jersey? Certo ogni situazione elettorale è diversissima dall’altra, ma se la leader del Pd italiano Elly Schlein dovesse trarre una indicazione da quello che è avvenuto nella tornata elettorale americana la strada sarebbe tutta in salita.

I numeri reali: il trionfo di Mamdani vale la metà di quello delle due governatrici

In cifre assolute la vittoria più celebrata – quella di New York – è in realtà la meno consistente. New York secondo le ultime stime ha 8,4 milioni di abitanti. La Virginia ne ha 8,8 milioni, pochi di più. Il New Jersey ne ha 9,2 milioni. Le tre platee elettorali sono quindi piuttosto comparabili. Mamdani ha ottenuto circa un milione di voti, la Spanberger in Virginia ne ha ottenuti quasi il doppio (1,9 milioni) e la Sherril (per altro anche lei nata in Virginia) nel New Jersey pochi meno (1,8 milioni). Valgono quindi di più nell’elettorato democratico le tendenze Renzi di quelle Fratoianni. Su questi numeri pesa un fatto storico: i newyorchesi votano assai poco. Gli abitanti sono una cosa, gli aventi diritto al voto (per cittadinanza e per età) sono a New York assai meno: 5,449 milioni. Di questi 790.873 non si sono registrati né fisicamente né per mail né online nelle liste elettorali, quindi quel diritto non potevano esercitarlo. Anche se i votanti questa volta sono stati più del solito, l’affluenza reale a New York è stata del 37,72% e a Mamdani è arrivato il 19,1% dei consensi dei suoi concittadini con diritto di voto. Percentuali che in Italia avrebbero riempito per giorni e giorni i media con commenti dolenti sull’eccezionale astensionismo.

La demoratica Sherill che ha vinto nel New Jersey

Anche dalla Virginia arrivano però indicazioni contrastanti

Essendo solidamente democratiche sia la città di New York (dove a confrontarsi infatti erano due candidati dem) che lo stato del New Jersey il voto che politicamente pesa di più è quello in Virginia, uno swing state che vota ogni tanto repubblicano e ogni tanto democratico. Ma le indicazioni venute dalle urne non sono così chiare nemmeno lì. Erano infatti tre le schede elettorali, e su ognuna ha trionfato un/a rappresentante del Partito democratico. Diversissimi però fra loro. Moderata la nuova governatrice Spanberger, una cristiana protestante che non è stata in sé una sorpresa assoluta avendo già ottenuto nel 2018 l’elezione alla Camera dei rappresentanti. Non dissimile a Mandami invece la vicegovernatrice, Ghazala Hashmi, una musulmana di origine indiana molto di sinistra radicale nelle sue battaglie. La Hashmi per quella carica non correva in ticket con la governatrice: ha dovuto prima affrontare e vincere le primarie, e poi correre da sola contro un repubblicano, come ha fatto vincendo. La carica di vicegovernatore della Virginia è infatti separata da quella di governatore, perché chi vince va a presiedere anche il Senato dello Stato, come farà ora la Hashmi. C’era poi una terza scheda elettorale, quella per eleggere il nuovo procuratore generale. Ha vinto anche qui un democratico, Jay Jones, afroamericano di religione però cattolica. Eletto due volte alla Camera dei rappresentanti della Virginia, nel 2022 si è dimesso perché sua moglie era incinta del primo figlio e voleva dedicarsi alla famiglia. Poi si è candidato a procuratore e nel bel mezzo della campagna elettorale sono spuntati fuori dei suoi sms a una collega deputata della Virginia in cui incitava ad atti violenti contro l’allora presidente della Camera locale, Todd Gilbert e la sua famiglia. In uno di questi sms diceva che se avesse avuto due proiettili con la scelta se sparare a Gilbert, Adolf Hitler o Pol Pot, «Gilbert avrebbe ricevuto due proiettili in testa». Ha rischiato l’inciampo, ma alla fine Jones ce l’ha fatta lo stesso, mostrando come origini etniche e credo religioso abbiano inciso assai poco nelle urne.

La vicegovernatrice della Virginia Ghazala Hashmi

Le due facce del miracolo Mamdani e le incertezze su come farà il sindaco

Anche la figura di Mamdani non è così monolitica come sembrerebbe dall’esterno. E non lo è stata la sua abilissima campagna elettorale che alla fine lo ha portato al trionfo contro ogni aspettativa. La sua vera sorpresa però è stata vincere alle primarie democratiche proprio contro Andy Cuomo. Allora nessuno davvero «l’aveva visto arrivare», per dirla alla Schlein. Pur essendo deputato dello Stato di New York, a inizio anno i primi sondaggi lo quotavano all’uno per cento delle possibilità nella corsa a sindaco. Zohran si è quindi lanciato in una campagna elettorale non tradizionale, con uso dei social e mosse dirette ad agganciare i più giovani che nessuno capiva e anzi molti deridevano. Ha lanciato una caccia al tesoro di massa in tutta New York, e poi un grande torneo di calcio a Coney Island che per tutti erano idee strampalate, un pizzico da mattoide. Ma è così che Mamdani ha messo insieme decine di migliaia di giovani volontari per la sua campagna elettorale. Fino alle primarie di giugno si è mosso come rottamatore dell’establishment democratico, contro il familismo della dinastia dei Cuomo, ma anche contro la governatrice democratica dello Stato di New York, Kathy Hochul. Ha attaccato tutte le élite di New York, a cominciare dei miliardari: finanzieri, industriali e immobiliaristi come William C. Rudin. Ha attaccato più volte la polizia e i suoi metodi. Ma vinte le primarie ha capito che per fare il sindaco avrebbe dovuto suonare un altro spartito e fare marcia indietro su molti passi.

Il killer di Manhattan che fa svoltare Mamdani

La svolta dopo la strage di Manhattan del 28 luglio, proprio nel grattacielo di Rudin

Già all’indomani della vittoria alle primarie lo staff di Mamdani ha iniziato a chiedere appuntamenti per un incontro privato con il candidato sindaco ai milionari della città fin lì bersagliati nei comizi. Ma la svolta vera e propria è iniziata a fine luglio. Il giovane candidato sindaco aveva deciso di prendersi una pausa dalla campagna elettorale per andare in Uganda a un matrimonio di un suo parente. Zohran aveva qualche timore per quel viaggio, soprattutto quello di avere in partenza o al rientro qualche scherzetto dagli agenti dell’ICE di Donald Trump. In aeroporto è andato fino ai controlli nascosto da un abile travestimento (secondo il New York Times addirittura con una maschera facciale di quelle in uso nel cinema) e da un ampio cappello che rendesse impossibile riconoscerlo anche ai fan. Il 28 luglio però i suoi collaboratori lo hanno svegliato nel cuore della notte chiedendogli una dichiarazione immediata. A Manhattan c’era stata una sparatoria nel grattacielo della Blackstone: morto un poliziotto, uccisi tre impiegati negli uffici del grattacielo. Poi l’assassino si è suicidato. Mamdani ha espresso subito solidarietà a quella polizia che aveva sempre attaccato, e anche a quell’immobiliarista che aveva nel mirino, visto che due delle vittime erano dipendenti proprio della Rudin immobiliare che aveva sede nel grattacielo. E quella stessa mattina Zohran ha preso il primo volo buono per tornare a New York.

Larry Fink, ceo di BlckRock incontrato da Mamdani nella seconda campagna elettorale

Il pellegrinaggio e le rassicurazioni dai miliardari. E la fregatura tirata a Bloomberg

È proprio qui che cambia radicalmente la campagna elettorale di Mamdani. Non in pubblico, ma dietro le quinte secondo i saggi consigli del suo staff. Per prima cosa incontra in un hotel di Midtown la governatrice dello Stato di New York, Hochul, e chiede scusa degli attacchi che la ha rivolto durante le primarie, offrendo tutta la collaborazione in caso di vittoria. D’altra parte, senza di lei sarebbero irrealizzabili punti interi del suo programma elettorale come il prezzo dei trasporti per i più poveri. Poi parte il pellegrinaggio “riservato” nelle case dei miliardari. Ha incontrato Rudin, poi Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, poi l’ex direttore generale di Blackstone, Hamilton E. James, e poi l’ex sindaco di New York e finanziere Michael Bloomberg e tanti altri. Tutti sembrano rinfrancati da quel faccia a faccia: non era sembrato quel comunista radicale che sembrava a distanza. Anzi, assai pragmatico. La prima buona notizia è che era stato possibile il confronto, a differenza di quello che era avvenuto con un sindaco democratico assai più radicale di lui: Bill de Blasio. Negli incontri Mamdani aveva fatto qualche apertura: il suo programma su case, asili e trasporti per i più poveri non poteva essere modificato, ma la tassa sui ricchi per finanziarlo non era una bandiera ideologica. Trovando altre forme per finanziare il programma, anche contributi volontari di privati scalabili dalle tasse, l’imposta sui più ricchi non sarebbe entrata in vigore. Un tipo ragionevole è sembrato ai più. Poi però in piazza i toni radicali sono continuati come e più di prima. Alcuni miliardari hanno pensato: «Va beh, deve fare così in pubblico». Bloomberg invece si è ricreduto: «Questo qui ci sta fregando». E ha versato 6 milioni di dollari a due Pac contro Mamdani. Troppo tardi però: mancavano appena sei giorni alle elezioni…

Michael Bloomberg
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