La madre di Sofia Stefani: «Giampiero Gualandi l’ha soggiogata prima di ucciderla: è stato un doppio femminicidio»

Quello di Sofia Stefani «è stato un doppio femminicidio. Perché è finita in balia di un manipolatore che ha approfittato delle sue fragilità. E perché è stata uccisa con un colpo di pistola in faccia per cancellare la sua identità di donna». Angela Querzé, madre della vigilessa uccisa il 16 maggio 2024 da Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola dell’Emilia, parla con il Corriere della Sera il giorno dopo la sentenza di ergastolo. «Nel processo sono state escluse come parti civili le associazioni di donne e io temevo che potesse prevalere una certa voglia di derubricare. E poi c’è stato il processo. L’aula di tribunale fredda, impersonale, che non ha genere. Anzi dove prevale quello maschile. Per me era importante rendere giustizia alla dignità di mia figlia che, anche per le parole che ho sentito in quell’aula, non sempre è stata rispettata», spiega.
Angela Querzé e la figlia Sofia Stefani
Ma la pm Lucia Russo «è stata straordinaria. Non ha voluto insistere su questo punto. “Che si tratti di femminicidio — ha detto — lo dimostreremo nel processo”». Gualandi l’ha uccisa «perché Sofia aveva capito l’inganno e voleva recuperare la sua dignità di donna. A quel punto lui non è stato più in grado di reggere il castello di bugie che aveva costruito e ha cercato di cancellare tutto sparandole in faccia». Secondo Querzé questa vicenda « contiene tutte le disumanizzazioni della nostra società: la violenza, il mancato rispetto della vita, il lavoro che non c’è per i giovani. La tragedia di Sofia merita una chiave di lettura più ampia».
Chi è Giampiero Gualandi
Secondo la madre di Sofia Giampiero Gualandi è «una persona pericolosa, egocentrica, ma allo stesso tempo anche molto fragile. Il nostro avvocato, Andrea Speranzoni, l’ha definito un “uomo fragile che esprime violenza fredda”. Una persona che ha impostato la sua vita sull’egocentrismo e sulla voglia di imporsi con il comando, come emerge dal “contratto di sottomissione” dove lui si definiva il supremo e mia figlia la schiava». Lei l’ha vista l’ultima volta «una settimana prima. Con il fidanzato erano venuti a pranzo. Quel giorno aveva un’ossessione per le imminenti elezioni ad Anzola. Credeva possibile ciò che le diceva Gualandi: lui sarebbe tornato a fare il comandante e lei la sua vice».
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Una guida sicura
Sofia parlava ai genitori di quell’uomo come di «una guida sicura. Forse ingannando anche sé stessa pensava che lui potesse garantirle una sistemazione stabile. Era soggiogata da un uomo che percepiva come potente». Adesso, per ricordare Sofia, c’è «la stanza rosa nella caserma dei carabinieri di Anzola che sarà inaugurata il 25 novembre. E altro sta nascendo».
