La famiglia nel bosco e la mossa che ha fatto precipitare il caso: nell’ordinanza dei giudici si punta il dito contro il servizio de Le Iene

Sulla vicenda della famiglia nel bosco di Chieti, a cui sono stati sottratti tre minori con la sospensione della potestà genitoriale, si è parlato tanto. Specialmente sugli aspetti che hanno portato il Tribunale dei minori de L’Aquila al ricollocamento dei tre fratellini in una struttura protetta. Oltre alla mancata socializzazione con bambini alla pari, gli ambienti insalubri del casolare e l’home schooling non riconosciuto, colpiscono nel documento dei giudici i soldi richiesti dai genitori (50mila euro a bambino) per avere un ok a visite mediche e verifica della copertura vaccinale. Ma nell’ordinanza emerge anche altro: un muro dei genitori nei confronti dei servizi sociali e un aspetto che per le toghe ha fatto precipitare la situazione: il servizio della famiglia a Le Iene.
Il servizio de Le Iene contestato nell’ordinanza
Tutto parte dalla memoria depositata il 12 novembre dal curatore speciale, che ha «poi segnalato la sopravvenienza di nuove condotte genitoriali inadeguate». Tra queste il servizio, andato in onda la sera prima, della famiglia per la trasmissione Le Iene. Nina Palmieri ha infatti passato 48 ore con la famiglia Trevallion–Birmingham. Un servizio che è stato mandato in onda pochi giorni prima dell’allontanamento dei piccoli e dove vengono descritte le abitudini e la quotidianità del nucleo familiare. I bimbi, seppur blurati, compaiono in modo attivo nel servizio. Si vedono intenti a giocare, perfino a dare il buongiorno a Nina dopo la prima notte trascorsa nel bosco. Nel servizio, spiegano i giudici, «sono state descritte le condizioni di vita della famiglia, violando il diritto dei minori alla riservatezza e alla tutela dell’identità personale». E pesano anche «pubblicazioni cartacee, on-line e televisive, social media», di altre testate, «con diffusione dei dati idonei a consentire l’identificazione dei minori, diretta, anche attraverso la pubblicazione di foto che li ritraggono, o per il tramite delle generalità e della residenza dei genitori».
«Uso dei figli»
«I genitori, con tale comportamento – spiegano i giudici – hanno mostrato di fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale a essi favorevole in un procedimento de potestate, nel quale assumono una posizione processuale contrapposta a quella dei figli e in conflitto di interessi con gli stessi. E tale risultato processuale è da essi perseguito non all’interno del processo, avvalendosi dei diritti garantiti alle parti dalla legge processuale, ma invocando pressioni dell’opinione pubblica sull’esercizio della giurisdizione».
