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«I bambini nel bosco possono tornare in famiglia. Ma i genitori devono collaborare»

25 Novembre 2025 - 05:44 Alessandro D’Amato
bambini nel bosco famiglia nathan trevallion catherine birmingham
bambini nel bosco famiglia nathan trevallion catherine birmingham
Gli esperti: nessuna decisione definitiva. Ma i diritti dei bimbi sono a rischio. «E loro non si sono dimostrati collaborativi». Gli insulti agli assistenti sociali e la carica di influencer e opinionisti

I bambini nel bosco possono tornare dalla loro famiglia. Che però deve «avere fiducia nel processo». Mentre il provvedimento del tribunale dei minori de L’Aquila è provvisorio. E quindi «non c’è nessuna decisione definitiva di togliere i figli ai loro genitori». Ma Catherine Birmingham e Nathan Trevallion «devono collaborare». Perché «sono a rischio il diritto dei bambini alla vita di relazione e alla salute». A dirlo è Claudio Cottatellucci, giudice del tribunale di Roma e presidente dell’associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia. Che in un’intervista a Repubblica spiega che «l’unica cosa di cui non si sentiva il bisogno in questa vicenda così delicata e complessa è di una contrapposizione manichea».

La famiglia nel bosco e il giudice

Cottatellucci spiega che il provvedimento «è provvisorio. Dunque non c’è nessuna decisione definitiva di togliere i figli ai loro genitori. Da quello che ho avuto modo di leggere dal decreto e dalla mia esperienza, direi che il tribunale ha fatto una scommessa sulla trasformabilità della situazione, individuando i due punti decisivi: sono a rischio il diritto dei bambini alla vita di relazione e alla salute». Questo significa «che i giudici sperano ancora di attivare i genitori in senso positivo. Dalle carte, se ci si prendesse la briga di leggere il decreto prima di utilizzare parole inaccettabili di condanna sull’operato dei magistrati, appare evidente che si è provato a percorrere la strada del recupero delle funzioni genitoriali, ma senza fortuna. Il padre e la madre di questi bambini finora non si sono mostrati collaborativi».

13 mesi

L’istruttoria, fa notare il giudice, è durata 13 mesi. «I tribunali provano prima con delle prescrizioni, ma sono misure civili non penali. E se le famiglie non le osservano c’è poco da fare. Era stata chiesta una visita neuropsichiatrica per valutare la condizione dei bambini, è stata rifiutata. Anzi, a provocazione, i genitori hanno avanzato la richiesta di 50 mila euro a figlio per farli visitare. E allora, quando ogni altra strada è sbarrata, si arriva davanti al dilemma che nessun giudice dei minori affronta a cuor leggero».

Cecilia Angrisano

Poi Cottatellucci difende Cecilia Angrisano, la presidente della corte che ha preso la decisione: «La collega è esperta ed equilibrata e immagino quanto sia difficile questo momento per lei, che ora è molto preoccupata per questa escalation di odio e attacchi. Certamente ho sentito parole inaudite, come sequestro di persona, uno stravolgimento dell’alfabeto minimo. Ci vorrebbe più rispetto non solo per i giudici ma proprio per l’esercizio della giurisdizione. La sollecitazione del ministero della Giustizia, l’annuncio di un’ispezione, il richiamo al prossimo referendum sulla separazione delle carriere che non c’entra proprio nulla. Per fortuna il Csm ha aperto una pratica a tutela dei colleghi de l’Aquila. L’esperienza di Bibbiano non ha insegnato nulla. C’è una fuga dalla complessità che non aiuta davvero nell’individuazione della strada più giusta».

La strada giusta

Infine, Cottatellucci spiega che l’avvocato ha dieci giorni per proporre appello. «Non ci sono solo i giudici, c’è una platea di soggetti con un unico obiettivo: il benessere dei minori. Sono sicuro che con la collaborazione dei genitori l’obiettivo verrà raggiunto». Barbara Rosina, presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali, dice a La Stampa che la vicenda ha trasformato gli operatori sociali in bersaglio, in figure di cui diffidare perché «strappano i figli ai genitori».

«Questa narrazione nasce da una semplificazione, viviamo da sempre in un clima di sospetto, nonostante le assoluzioni abbiano smentito le accuse. Ma c’è chi continua a usare ogni vicenda che coinvolge minori per fare propaganda. Dire che gli assistenti sociali “strappano” i figli significa ignorare che le decisioni non vengono mai prese da soli: sono condivise con magistrati, psicologi, educatori, psichiatri. Esistono protocolli nazionali, linee guida, valutazioni tecniche. Nessun intervento nasce all’improvviso».

Le famiglie in difficoltà

Rosina spiega che «l’allontanamento è l’extrema ratio, prevista solo quando tutti i tentativi falliscono e quando c’è un rischio reale per la salute, la crescita o la sicurezza dei bambini». E aggiunge «che l’amore non basta. La letteratura scientifica è chiara: servono scuola, cure sanitarie, relazioni sociali, una rete familiare, un contesto che favorisca uno sviluppo sano. Non è un’opinione, è un dato. Che ci sia affetto tra genitori e figli è ovvio e non viene mai messo in discussione: infatti esistono comunità madre-bambino e visite protette proprio per preservare il legame. Ma se mancano gli elementi fondamentali per la crescita, il rischio diventa troppo grande».

L’odio verso gli assistenti sociali

Secondo Rosina l’odio verso gli assistenti sociali nasce «dal fatto che siamo una delle pochissime professioni che entrano nelle case per valutare la sicurezza dei bambini. Questo genera paura e conflitto. In situazioni di separazioni, violenze domestiche, dipendenze, malattie mentali, qualcuno ci accuserà sempre di aver sbagliato: chi dice “avete portato via mio figlio”, chi dice “non l’avete protetto abbastanza”. Poi ci sono influencer e opinionisti che diffondono false informazioni: noi non possiamo rispondere perché siamo vincolati al segreto d’ufficio. Ed è facile colpire chi non può difendersi».