L’università che guarda all’innovazione, parla il rettore della Pegaso: «La formazione telematica? Così rispondiamo alle esigenze degli studenti e del mondo di oggi» – L’intervista

«Il cambiamento dei mezzi non riduce la qualità della didattica». A sostenerlo è Pierpaolo Limone, rettore dell’università telematica Pegaso, rompendo subito uno dei pregiudizi più diffusi sulla formazione a distanza. Il digitale permea sempre più ogni ambito della vita quotidiana e, di conseguenza, anche l’università sta evolvendo. Non si parla più solo di lezioni in aula e libri cartacei, ma di strumenti flessibili, personalizzati e accessibili ovunque. L’ateneo telematico non si limita a replicare il modello tradizionale online, ma propone percorsi studiati per conciliare impegni lavorativi, familiari e personali degli studenti. Il punto di forza, sottolinea il rettore, è che «flessibilità» non significa compromesso sulla qualità. La digitalizzazione, insieme alla demografia in calo tra i diciottenni, sta accelerando la progressiva ibridazione della formazione universitaria, con strumenti online sempre più integrati anche negli atenei tradizionali. Abbiamo quindi chiesto al rettore della Pegaso di raccontarci come il mondo accademico si sta adattando a questo contesto, tra innovazione didattica, nuove tecnologie e esigenze degli studenti adulti.
Cosa offre un ateneo telematico rispetto a quelli tradizionali?
«Credo che innanzitutto lo studente si rivolga a noi per la flessibilità. Da noi ci si può iscrivere durante tutto il corso dell’anno, senza una finestra di iscrizione, e soprattutto si può frequentare in qualsiasi luogo. L’università va verso lo studente, permettendo di integrare lo studio con lavoro e attività quotidiane. Proponiamo una soluzione flessibile che si adatta agli spazi e ai tempi dello studente. Inoltre, garantiamo parità di qualità, attenzione e servizi rispetto alle università in presenza. Un altro elemento è la continua innovazione negli strumenti di insegnamento e apprendimento: introduciamo tecnologie, laboratori virtuali, assistenti digitali come chatbot di intelligenza artificiale, creando percorsi di studio centrati e personalizzati sulle esigenze dello studente».
Qual è oggi il profilo dello studente tipo che si iscrive all’università telematica?
«In Italia c’è una crisi demografica e l’idea tradizionale dello studente diciottenne appena uscito dal liceo non rispecchia la maggior parte dei nostri iscritti. Ci rivolgiamo prevalentemente a un pubblico di lavoratori, studenti più maturi, con scelte consapevoli: persone che lavorano, hanno famiglia o hanno fatto esperienze formative precedenti. Questi studenti scelgono la telematica perché permette di bilanciare esigenze esterne allo studio e dimostrano motivazione, determinazione e alta esigibilità verso la qualità delle lezioni, dell’interazione e dei servizi. Sono molto consapevoli dei loro obiettivi professionali e rappresentano uno stimolo di miglioramento continuo per l’università».
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Come interpreta il trend di aumento delle iscrizioni agli atenei telematici e quali prospettive future vede?
«Negli ultimi vent’anni il numero di studenti universitari nel mondo si è quasi raddoppiato, arrivando a circa 250 milioni, secondo l’Unesco e altri osservatori. In Italia il numero è sostanzialmente stabile, ma le telematiche hanno intercettato fette di popolazione adulta che normalmente non accedevano all’università. Si prevede una crescente ibridazione dei punti di accesso all’istruzione superiore: anche le università tradizionali avranno sempre più componenti online. Nei prossimi 20 anni si stima un raddoppio degli studenti che frequentano corsi online, senza distinzione netta tra università telematiche e università tradizionali. Il digitale diventerà uno strumento essenziale per offrire servizi flessibili, soprattutto in un contesto di inverno demografico, dove i diciottenni diminuiscono»
Esiste ancora diffidenza verso gli atenei telematici, sia dal mondo accademico sia dal mercato del lavoro, e come risponde?
«Sì, c’è ancora diffidenza, comprensibile perché la formazione tradizionale è vista come esperienza in aula. Tuttavia il cambiamento dei mezzi non riduce la qualità della didattica; anzi, può migliorarla. Molta della resistenza deriva dalla consolidata rappresentazione della formazione legata all’aula. Con l’aumento delle esperienze e l’adozione di modelli innovativi, queste paure verranno superate. Un altro limite è normativo: in Italia è difficile sperimentare e innovare, ma la qualità del lavoro svolto dagli atenei telematici dimostrerà l’efficacia del sistema. In più, diversi studi internazionali confermano l’efficacia e l’efficienza della formazione online».
La vostra università come si sta adeguando alle nuove normative del ministero dell’Università e della Ricerca per gli atenei telematici?
«Il nostro gruppo sta investendo risorse importanti nel reclutamento di docenti e nell’aggiornamento delle piattaforme per mantenere l’innovazione. Abbiamo assunto quasi 300 nuovi professori a tempo indeterminato e centinaia di dottorati. Per quanto riguarda la didattica sincrona, sono personalmente critico sull’idea di percentuali fisse. L’importante è costruire una didattica adeguata agli studenti, differenziata secondo età, esperienza e contesto. Gli studenti adulti, ad esempio, hanno esigenze diverse rispetto ai diciottenni in campus. Abbiamo accolto le indicazioni normative come un onere sostenibile e necessario».
L’ateneo adotta strategie o strumenti per monitorare la qualità e i risultati della didattica online?
«Siamo parte del sistema Anvur, che valuta la qualità dell’istruzione e della ricerca. Inoltre, abbiamo indicatori interni che monitorano gli esiti della didattica: miglioramento della posizione lavorativa degli studenti, successo in concorsi, questionari di soddisfazione post-laurea e indicatori rapidi come il Net Promoter Score. Tutti i nostri processi sono al pari delle università tradizionali, con le stesse regolamentazioni e controlli di qualità. Noi siamo tra le 11 università telematiche riconosciute dal Ministero dell’Università e della Ricerca e quindi siamo sottoposti agli stessi controlli e giudizi degli atenei tradizionali».
Ci sono aspetti delle università telematiche che non emergono nel dibattito mediatico talvolta troppo polarizzato?
«Una nota importante riguarda la nuova generazione di professori universitari, molti dei quali giovanissimi e con esperienze globali. Abbiamo reclutato talenti rientrati dall’estero in seguito al brain drain, creando un team dinamico e motivato. L’entusiasmo e la competenza di questi giovani studiosi rappresentano un grande valore aggiunto percepito dagli studenti».
